2011/01/11

L'antenna impossibile della capsula Gemini

di Paolo Attivissimo. L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

In una conferenza sulle missioni lunari che ho tenuto a Brescia qualche tempo fa ho commesso un errore tecnico di cui vorrei scusarmi pubblicamente. Ho dato una risposta inesatta a una domanda di una persona del pubblico, che aveva sollevato la questione dell'apparente assurdità di alcune fotografie delle capsule Gemini scattate dopo l'ammaraggio. In queste fotografie le capsule mostravano un'asta molto lunga che sporgeva dal muso del veicolo e si ergeva a mo' di albero d'imbarcazione.

Il mio interlocutore aveva sottolineato che quell'asta non sarebbe stata in grado di sopravvivere al calore e alla resistenza aerodinamica del rientro in atmosfera e che a suo parere le fotografie erano state scattate durante un addestramento in mare e poi spacciate per immagini del rientro a Terra degli astronauti americani.

Una tesi per certi versi analoga e più articolata è sostenuta da Ralph René nel suo libro NASA Mooned America! (1994) a pagina 4. Scrive René, mostrando una copia sgranata in bianco e nero della fotografia a colori presentata all'inizio di questo articolo:
Wally Schirra e Tom Stafford stanno per essere recuperati dopo l'ammaraggio nella missione Gemini 6A. Asseriscono di aver effettuato un rendezvous nello spazio con Borman e Lovell, che pilotavano la Gemini 7. Dal muso della capsula vediamo la base di una lunga antenna a frusta in fibra di vetro. È completamente intatta, e non è retrattile, dato che la cabina della capsula non contiene un pozzetto per antenne. Le capsule arrivavano dalla fabbrica lucenti di pellicola argentea (carbonizzata da da temperature superiori a 2700 °C durante il rientro). Qualunque cosa non sia protetta dal rivestimento ablativo anteriore si incenerirà. Nessuna delle altre capsule Gemini mostravano antenne a frusta dopo il rientro. Quest'antenna risponde a frequenze non utilizzate nello spazio e sarebbe utile solo nel localizzare la capsula dopo l'ammaraggio. Una volta trovata la capsula non avrebbe alcuna ulteriore utilità. Perché i difensori della NASA argomentano che i sommozzatori di recupero l'hanno installata dopo che era nell'acqua? L'unica conclusione logica è che questa capsula non ha mai effettuato un rientro dallo spazio ma è stata paracadutata da un aereo da trasporto della CIA.

Wally Schirra and Tom Stafford are about to be rescued after splash-down on Gemini 6A. They claim to have made a rendezvous in space with Borman and Lovell, who were flying Gemini 7. From the front of the capsule we see the base of a long fiberglass whip antenna. It is completely undamaged, and it is not retractable, as the capsule cabin contains no antenna well. The capsules came from the factory gleaming with a silver film (which is charred by temperatures over 5000 degrees during re-entry). Anything not shielded by the forward ablative coating will burn up. None of the other Gemini capsules showed whip antennas after splash-down. This antenna responds to frequencies not used in space and would only be of value in locating the capsule after it landed. Once the capsule was found it would have no further value. Why do NASA apologists argue that the rescue divers installed it after it was in the water? The only logical conclusion left is that this capsule never re-entered from space but was parachuted from a CIA cargo plane.

È interessante notare che secondo René la spiegazione più semplice e sensata (si tratta di un dispositivo collocato dopo il rientro) è inaccettabile e “l'unica conclusione logica” è una complicatissima operazione ultrasegreta di lancio da un aereo della CIA, di cui René non offre alcuna documentazione o prova. Oltretutto l'asta o antenna sarebbe stata un ostacolo fragile e ingombrante anche in caso di lancio da un velivolo, per cui la congettura di René in realtà non risolve e non giustifica nulla.

René omette di specificare il numero di catalogo della fotografia in questione, complicando inutilmente le verifiche, ma una ricerca negli archivi pubblici della NASA consente di determinare che si tratta della foto S65-61886, datata 16 dicembre 1965 e riferita all'ammaraggio della missione Gemini 6. Una versione ad alta risoluzione è disponibile presso Archive.org e presso NasaImages.

Nelle descrizioni di questa fotografia non c'è alcun accenno all'asta, ma viene precisato che si tratta di un'immagine scattata dopo l'ammaraggio, non durante un addestramento (“Navy divers assist Gemini 6 crew to open hatches after landing – A water level view of Navy divers assisting Gemini 6 crewmembers Stafford and Schirra to open hatches after landing in the Atlantic”). Anzi, le immagini dell'addestramento di altre missioni Gemini non presentano affatto quest'antenna (S65-39907, Gemini 5; S65-55562, Gemini 8). La NASA, insomma, dichiara esplicitamente che si tratta di una fotografia riguardante il rientro e l'ammaraggio al termine della missione.

L'asta o antenna è visibile anche nella foto S340/118 della medesima missione, che la mostra per intero ed è presentata qui accanto. La si può scorgere anche nelle foto S340/100, S65-18645 e S65-19229 riguardanti il rientro della Gemini 3. In tutte queste immagini se ne apprezza la lunghezza considerevole. Altre immagini del recupero della missione Gemini 6, come la S65-61824, mostrano invece la capsula senza antenna; lo stesso vale per immagini del recupero di altre missioni (S340/045, Gemini 8; S340/111, Gemini 10).

Durante la conferenza ho recuperato dal mio archivio portatile una delle fotografie citate dallo spettatore e ho risposto che l'asta era un'antenna radio retrattile, che veniva estratta dopo l'ammaraggio, e che sulla superficie esterna della capsula Gemini c'era infatti un solco conforme nel quale l'asta si inseriva a misura. Ma la mia risposta è stata imprecisa, per cui la correggo qui.

L'asta era sì un'antenna retrattile, e quindi non aveva bisogno di resistere alle sollecitazioni termiche e aerodinamiche del rientro, ma non si inseriva nel solco conforme. Si tratta infatti dell'antenna per comunicazioni in alta frequenza (HF whip antenna), che veniva utilizzata come radiofaro per la localizzazione in mare (recovery beacon) e collocata in un alloggiamento tubolare, separato e disassato rispetto al solco. Il suo funzionamento è descritto presso la Case Western Reserve University (sezione Reentry di Gemini Program), presso Skyrocket.de e in dettaglio nel Project Gemini Familiarization Manual (sezione HF Whip Antennas).

Da queste fonti risulta che quest'antenna era composta da sei elementi retrattili che, quando erano estesi completamente, formavano un'asta lunga circa 13 piedi e 3 pollici (circa 4 metri) che pesava circa 9 libbre (4 kg). L'antenna veniva estratta dopo l'ammaraggio mediante un comando presente nella cabina.

Fonte: Project Gemini Familiarization Manual, SEDR 300, agosto 1966 (via Sven Grahn).

La tesi di René è quindi sbagliata: l'antenna era retrattile eccome e rispondeva a frequenze non utilizzate nello spazio per la semplice ragione che non veniva utilizzata nello spazio. Inoltre i “difensori della NASA” non affermano affatto che veniva montata dai sommozzatori, per l'altrettanto semplice ragione che era già a bordo del veicolo. La documentazione parla chiaro.

Un esemplare di quest'antenna è conservato al museo Smithsonian, che ne ha pubblicato una fotografia in configurazione retratta, mostrata qui sotto, e ne ha indicato le misure: 5 centimetri di diametro e 62 centimetri di lunghezza.


Nel solco conforme erano invece alloggiate altre antenne, mostrate per esempio qui (S65-13244), insieme ad altri componenti: in particolare, in questo solco veniva collocata la briglia posteriore (aft bridle strap) del paracadute principale.

A differenza delle capsule Apollo e Mercury, infatti, la Gemini non scendeva e ammarava in posizione verticale con gli astronauti disposti supini, ma assumeva un assetto quasi orizzontale (inclinato a circa 35°) con gli astronauti in posizione seduta, molto più simile a una configurazione aeronautica, grazie al fatto che il paracadute era agganciato a due briglie collocate in due punti spaziati lungo l'asse del veicolo. Nella figura qui sotto, la briglia anteriore e quella posteriore sono indicate rispettivamente da forward bridle strap e aft bridle strap.

Figura 31 di Project Gemini Technology and Operations - A Chronology, NASA SP-4002 (Part 1B).

Questa soluzione “aeronautica” non è la sola caratteristica che rendeva il veicolo Gemini più sofisticato, in alcuni aspetti, rispetto all'Apollo: nei piani iniziali era previsto l'uso di un'ala di Rogallo al posto del paracadute, in modo da permettere una planata controllata e addirittura un atterraggio su una pista, come lo Shuttle, grazie a un carrello retrattile con ruote o pattini. Questi piani arrivarono fino allo stadio di un prototipo in scala 1:1, mostrato nell'immagine qui sotto, ma l'idea fu abbandonata per ridurre i costi e semplificare il veicolo.

Figura 57 di Project Gemini Technology and Operations - A Chronology, NASA SP-4002 (Part 2A).

Vi furono anche proposte di circumnavigare la Luna e addirittura di atterrarvi con una capsula Gemini e di ampliare il veicolo fino a consentire di trasportare nove astronauti contemporaneamente insieme a 2.500 kg di carico in orbita alta a 480 km (progetto “Big G”). Ma queste sono altre storie straordinarie che meritano di essere raccontate separatamente.