Si parla tanto di fantasiosi e improbabili complotti statunitensi per simulare lo sbarco sulla Luna, ma ci si dimentica spesso dei veri complotti: quelli per insabbiare i fallimenti e i dettagli imbarazzanti delle missioni spaziali, specialmente (ma non solo) da parte russa. Questa è la storia di uno di questi complotti reali, tratta dal mio e-book Almanacco dello Spazio.
Il 16 gennaio 1969, con la gara sovietica e americana per raggiungere la Luna nel massimo fermento, l’Unione Sovietica mette a segno una missione congiunta spettacolare. Nei giorni precedenti ha lanciato in orbita intorno alla Terra due veicoli con equipaggio, la Soyuz 4 (con a bordo un solo cosmonauta, Vladimir Shatalov) e la Soyuz 5 (che trasporta Boris Volynov, Aleksei Yeliseyev e Yevgeny Khrunov), e ora la Soyuz 4 attracca alla Soyuz 5 con una manovra inizialmente automatica e successivamente manuale.
Credit: Gianluca Atti |
Retorica a parte, è comunque il primo attracco fra due veicoli spaziali entrambi dotati di equipaggio nella storia dell’astronautica. C’erano stati attracchi precedenti, ma soltanto fra veicoli senza equipaggio oppure fra uno con equipaggio e uno senza.
Dopo l’attracco, due dei cosmonauti della Soyuz 5, Yevgeny Khrunov e Alexei Yeliseyev, si trasferiscono alla Soyuz 4 effettuando una passeggiata spaziale, che viene registrata dalle telecamere di bordo: è il primo trasferimento extraveicolare di un equipaggio da un veicolo spaziale a un altro. Un altro primato, insomma, conquistato dai russi. Queste manovre servono a collaudare le tecniche di attracco e trasbordo che verranno usate per lo sbarco sulla Luna che i sovietici, in gran segreto, stanno tentando di realizzare.
La Soyuz 4 rientra a terra senza problemi il 17 gennaio con Shatalov, Khrunov e Yeliseyev (immagine qui accanto, tratta da Spacefacts). La Soyuz 5 resta in orbita fino al giorno successivo, pilotata dal trentaquattrenne Boris Volynov.
Fin qui tutto bene, insomma. Ma al momento del rientro della Soyuz 5 succede di tutto.
Il modulo di servizio, che sta sul retro del veicolo di Volynov, non si sgancia correttamente dalla capsula di rientro dopo l’inizio della manovra di discesa. Rimane attaccato alla capsula, e siccome è la parte del veicolo che offre la maggiore resistenza aerodinamica si dispone spontaneamente dietro, mettendo la capsula e Boris Volynov davanti. Il problema è che questo assetto è il contrario di quello necessario per sopravvivere al rientro, perché la Soyuz a questo punto ha lo scudo termico dietro anziché davanti.
Il calore intensissimo del rientro agisce quindi sulla parte meno protetta della capsula: Volynov, invece di essere schiacciato contro il proprio sedile dalla decelerazione, viene spinto in senso contrario, contro le cinture di sicurezza che lo trattengono, e assiste impotente alla progressiva combustione delle guarnizioni del portello, che riempiono di fumo la capsula. Il cosmonauta, oltretutto, non ha una tuta pressurizzata che lo protegga.
I tecnici al Controllo Missione sovietico, informati via radio da Volynov della situazione, hanno già capito che non c’è nulla da fare e uno di loro si toglie il cappello, vi mette dentro tre rubli e lo passa agli altri per iniziare la colletta per l’imminente vedova.
Fortunatamente il calore esterno fonde i collegamenti fra il modulo di servizio e la capsula di rientro poco prima che ceda il portello e quindi il modulo di servizio si sgancia violentemente, permettendo alla capsula di riprendere il proprio assetto normale: il suo scudo termico, finalmente in posizione corretta, assorbe il calore prodotto dall’attraversamento dell’atmosfera e la capsula decelera, ma lo fa brutalmente, sottoponendo Volynov a ben 9 g, perché i razzi di manovra, che normalmente dovrebbero ridurre la decelerazione imponendo un assetto che genera portanza e quindi produce una planata, non funzionano: il loro propellente è stato esaurito dal computer di bordo nel vano tentativo di orientare correttamente la capsula mentre era ancora vincolata al modulo di servizio.
Boris Volynov |
Le peripezie di Volynov non sono ancora finite: pochi giorni dopo, il 22 gennaio, sarà coinvolto in un attentato al premier sovietico Brezhnev. Ma questa è un’altra storia, che trovate nell’Almanacco dello Spazio.
Fonti: Soyuz 5's Flaming Return di James Oberg (2002) con aggiornamento correttivo di Oberg (2008); Astronautix; Sven Grahn; Soyuz: A Universal Spacecraft, Rex Hall e David Shayler, p. 155-156; Rockets and People, Volume 4, Boris Chertok, p. 187; Spacefacts; Disasters and Accidents in Manned Spaceflights, David Shayler, p. 357-358; Il mistero dei cosmonauti perduti, Luca Boschini, pag. 160; The First Soviet Cosmonaut Team, Colin Burgess e Rex Hall (2009), pag. 287-290. Altre fonti sono riportate nell’aggiornamento qui sotto.
2016/01/23
Dopo la pubblicazione iniziale del mio articolo sul Disinformatico i lettori hanno segnalato versioni contrastanti delle azioni di Volynov dopo l’atterraggio. In particolare sono emersi forti dubbi sulla versione che avevo descritto inizialmente basandomi sulle fonti solitamente autorevoli: secondo questa versione, Volynov si sarebbe allontanato dalla capsula e avrebbe camminato per vari chilometri, nel gelo e con la bocca sanguinante per i denti rotti, fino a trovare rifugio in casa di un contadino e i soccorritori sarebbero arrivati varie ore dopo e avrebbero trovato la capsula vuota, riuscendo poi a rintracciare Volynov seguendo le sue impronte e le macchie di sangue nella neve. Ma sono emerse interviste nelle quali Volynov smentisce questa versione. Di conseguenza cui ho ampliato la mia ricerca: ne riassumo qui i risultati citando le varie fonti che ho utilizzato e ringraziando in particolare Giovanni Pracanica per il suo contributo alla ricerca.
James Oberg, Soyuz 5's Flaming Return (2002): “Ground searchers didn't know that he was alive, but radar had indicated that the capsule was far off course. Many hours later, helicopters spotted the downed spacecraft and landed nearby. The rescuers were unsure whether they were on a rescue mission or would recover a body. At the landing site, they found the capsule's hatch open -- no one inside, and no trace of the cosmonaut. Volynov had quickly realized out that he would die in the mid-winter cold if he stayed where he was, so he set out on foot towards a distant vertical line of smoke in the sky. He had landed just before noon, and the weather was clear. Only a few kilometers away, he found the hut of peasants who took him in and kept him warm until searchers, following his footprints and the bloody spots where he had spit in the snow, found him.”
Sempre Oberg, nel libro Star-Crossed Orbits (2002), pagina 190: “The impact force tore him from his seat and threw him across the cabin, knocking out several of his upper front teeth. He tasted blood filling his mouth... Many hours later, helicopters spotted the capsule’s parachute and landed nearby... They found the capsule’s hatch open, nobody inside, and no trace of the cosmonaut. Volynov had quickly figured out that he would die in the midwinter cold if he stayed where he was, so he set out on foot toward a distant vertical line of smoke in the sky. It was just before noon when he landed, and the weather was clear. He found the hut of some peasants only a few kilometers away, and they took him in and kept him warm until searchers followed his footprints – and the bloody spots where he had been spitting – in the snow”.
La stessa versione è stata pubblicata da Oberg nel 1999 sul suo sito e in una rivista di settore, Launchspace, nell’articolo Secrets of Soyuz (PDF). Oberg ne parla anche in questo articolo su NasaSpaceflight del 2008.
Tuttavia Oberg stesso, in una nota non datata ma risalente almeno al 4 luglio 2008 (data in cui è stata vista per la prima e unica volta da Archive.org), ha smentito questa sua versione: “In October 2005 I met with Volynov for more than an hour at the cosmonaut training center outside of Moscow. He showed a recent made-for-Moscow TV movie reenactment of his adventure, and narrated and discussed it, remarking on where it was accurate and where it had been over-dramatised. [...] Volynov did say that my version of his post-landing survival was not correct. Long ago, while in the US Air Force, I had learned of an embassy gossip account of a mid-winter off-course landing of a cosmonaut who had had to hike a few miles to a nearby settlement to survive. At the time, I knew of no solo winter off-course Soviet manned spaceflight landing, and filed it away as ‘garble’ or even ‘tall-tale’. Later, when I learned that Soyuz-5 had in fact performed just such a feat, and added odin and odin together to get dva, and postulated that the story was about Volynov. But he told me it wasn’t – and gave me another even more miraculous account of how he had avoided freezing to death within hours back in January 1969.” Nella stessa nota promette una nuova pubblicazione sull’episodio (“That story will be in my new published account”), ma non ne ho trovato traccia.
Astronautix: “The damage to the capsule resulted in a failure of the soft-landing rockets. The landing was harder than usual and Volynov broke his teeth. The capsule was recovered 2 km SW of Kustani, far short of its aim point, on January 18, 1969 at 07:58 GMT.”
Sven Grahn si limita a linkare l’articolo di Oberg.
Rockets and People di Boris Chertok: non parla di della fase post-atterraggio.
Spacefacts: “On page 274 of the book IN THE SHADOW OF THE MOON, Boris Volynov is quoted as saying he stayed inside the capsule after landing with a broken jaw. It was extremly cold and he only had a thin tracksuit on. There were no buildings for 60 kilometers around him so he waited one hour. Parachutists were the first to arrive.”
Il libro Soyuz: A Universal Spacecraft dice: “Volynov… knew that he would die if he stayed inside the capsule…. he spotted a vertical line of smoke in the distance; and after walking several kilometers he found a peasant hut, where the occupants welcomed him and kept him warm until the rescue team arrived… At the landing site, search teams located the DM and, to their surprise, found it empty; but they finally found Volynov by tracking the trail of blood in the snow where he had spat.” La nota a pié pagina cita l’articolo di Oberg.
Il libro Disasters and Accidents in Manned Spaceflights di David J. Shayler riporta: “...the parachutes deployed on [sic] partially... A failure in the soft-landing rockets in the base of the DM caused a harder than normal landing, almost wrecking the capsule. When the search crews found Soyuz 5 it was empty. Volynov was found, with several broken teeth, in a nearby peasant hut trying to keep warm while awaiting his rescuers”.
Il libro Il mistero dei cosmonauti perduti di Luca Boschini (2013) dice, a pagina 161, che “La leggenda vuole che a questo punto il cosmonauta fosse uscito dalla capsula, indossando la sola divisa da pilota, e avesse camminato nella neve per chilometri fino a raggiungere un’abitazione, dove sarebbe stato soccorso e medicato. In realtà, lo stesso Volynov in un’intervista nel 2001 con lo scrittore Bert Vis ammise che fuori dalla capsula tutto intorno non si vedeva che una distesa innevata e coi vestiti leggeri che aveva indosso non sarebbe sopravvissuto più di qualche minuto: perciò aveva deciso di starsene chiuso nella capsula e sperare nei soccorsi, che fortunatamente lo ritrovarono in meno di un’ora.”
L’intervista a Bert Vis citata da Boschini è citata anche nel libro The First Soviet Cosmonaut Team, di Colin Burgess e Rex Hall (2009), a pag. 290: “The unexpectedly heavy impact propelled Volynov forward against his harness with such force that it gave way, resulting in him smashing his jaw and shoulders against the instrument panel, snapping off several upper teeth at the roots. Soyuz 5's re-entry problems had caused the cosmonaut to land some 400 miles off course, and as he sat in excruciating pain trying to assess the damage to his face he could hear the hot exterior of his charred spacecraft popping and hissing in the freezing cold outside. Bruised and bloody, Volynov knew he needed some urgent medical attention, but he was also aware of the fact that he was only wearing a thin woollen tracksuit and it was somewhere around -38°C outside. There were later misleading (and often repeated) reports that as he sat there he saw some smoke from a nearby farmhouse chimney and made his way across to seek shelter and assistance. However, Volynov emphatically denied this in an interview with Bert Vis in London in May 2001, saying it was completely deserted and freezing cold where he landed, emphasizing that to have left the spacecraft would have been suicidal. “There was nobody to help. It was two hundred kilometres from Kustanay [Kazakhstan] ... no settlements at all... no farm... maybe sixty or eighty kilometres there was nothing. I couldn't go anywhere as it was minus 38 degrees and I was wearing that suit. I waited inside the capsule'' [2]. It took almost an hour for a rescue aircraft to locate and reach the Soyuz 5 spacecraft, although Volynov could see the aircraft in the distance through his window, doing searching sweeps of the area. They finally spotted his parachute and flew low over the downed spacecraft. Four recovery parachutists then leapt out in order to check on his condition and offer initial assistance. Radio links were quickly established and, soon after, the helicopters arrived.” Il numero “[2]” è appunto un riferimento all’intervista di Vis a Volynov.
In questo video Volynov stesso racconta la propria esperienza (da 13:30 circa) confermando i 9 g di decelerazione e i -38°C all’atterraggio, dicendo che la città più vicina era a 200 chilometri e che indossava soltanto una tuta di volo di lana. Non parla di essere uscito dalla capsula e di essersi incamminato, ma dice di essere stato soccorso dopo qualche tempo e di essere stato ritrovato dalla squadra di soccorso.
In questo video, a circa 28 minuti dall’inizio, Volynov racconta in russo la fase dopo l’atterraggio. Il video, in una ricostruzione, mostra che viene soccorso vicino alla capsula, senza menzionare alcun percorso a piedi. Il video, stando alla descrizione su Youtube tradotta da Google Translate, s’intitola Волынов. Падение из космоса (“Volynov. Caduta dallo spazio”) è della casa di produzione Ostankino, risale al 2008, fa parte della serie Тайны века (“Segreti del secolo”) ed è diretto da Alexander Gureshidze.
In questa intervista in russo, datata 2010, Volynov rievoca la propria disavventura, confermando i danni ai denti ma senza accennare ad alcuna uscita dalla capsula per raggiungere abitazioni.
La serie di documentari Secret Space Escapes ha in programma una puntata dedicata all’incidente di Volynov; aggiornerò ulteriormente questo articolo non appena l’avrò vista.
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