2009/02/21

Perché non c'è un cratere o un segno vistoso del motore sotto il modulo lunare?

di Paolo Attivissimo

"In tutte le animazioni della NASA sui voli lunari, ci sono sempre dei crateri scavati dal motore sotto il modulo di allunaggio. Tutte le foto ufficiali della NASA non mostrano crateri. Addirittura, la superficie sembra completamente indisturbata. Controllatelo da soli nella vostra libreria. Se potete trovare una fotografia che mostra un solo cratere, per favore fatemela avere o ditemi dove e come l'avete ottenuta."

– Bill Kaysing, Non siamo mai andati sulla Luna, pag. 202.

E' indubbiamente vero che in molte delle illustrazioni preparate dalla NASA e dalla stampa per spiegare l'allunaggio prima che avvenisse c'è un vistoso cratere sotto il modulo lunare, prodotto dal suo motore. Qui accanto ne è mostrata, per esempio, una realizzata dal celebre illustratore statunitense Norman Rockwell.

Quello che sfugge a persone come Bill Kaysing è che le illustrazioni artistiche sono, appunto, artistiche. Non hanno pretesa di rappresentare con assoluta fedeltà la fisica di un evento. Spesso in questo genere di illustrazioni ci sono licenze stilistiche utili a rendere più viva ed efficace l'immagine.

Per esempio, nell'illustrazione di Rockwell mostrata qui sono visibili le stelle, mentre abbiamo già visto che salvo condizioni particolari, le stelle non sono visibili dalla Luna quando la superficie è illuminata dal sole, per via del riverbero che fa chiudere l'iride dell'occhio o della fotocamera.

Anche la falce di Terra è impossibile, perché per avere la Terra illuminata in quel modo il Sole dovrebbe stare sotto l'orizzonte lunare e quindi il suolo lunare dovrebbe essere buio; invece nell'illustrazione le ombre provengono da sinistra.

Addirittura, nell'illustrazione si vede passare il modulo di comando (in alto, vicino al bordo superiore), cosa impossibile nella realtà, perché questo modulo orbitava a decine di chilometri d'altezza e sarebbe stato invisibile a occhio nudo. Però l'immagine è artisticamente efficace e spiega il funzionamento della missione.

La presenza del cratere nelle illustrazioni non prova che le missioni lunari furono falsificate: prova semplicemente il talento artistico di chi voleva realizzare immagini dinamiche e di forte impatto.

Chiarito questo errore di fondo, è comunque ragionevole domandarsi come mai non vi siano, nelle fotografie delle missioni lunari, segni evidenti di crateri o alterazioni vistose della superficie sotto il veicolo di allunaggio: un dubbio che nasce non dalle illustrazioni, ma dalla nostra esperienza. E' comprensibile pensare che per tenere librato un veicolo da ben 15 tonnellate come il modulo lunare, il suo motore a razzo avrebbe dovuto produrre una spinta decisamente ragguardevole che ne contrastasse il peso, e che quindi avrebbe dovuto produrre sconvolgimenti vistosi del terreno sottostante. O almeno così ci suggerisce l'istinto.

Ma l'istinto è in errore, per mancanza d'esperienza e forse per la suggestione prodotta da queste illustrazioni artistiche che anticiparono gli allunaggi. Infatti basta riflettere che il getto di un aereo a decollo verticale come l'Harrier (9500 kg di peso massimo per decollo verticale) non produce né crateri né sconvolgimenti significativi, come mostra quest'immagine (si noti inoltre che il personale a terra non viene spazzato via):



Un atterraggio di Harrier non brucia neanche un prato, come si può vedere in questo video (ringrazio Goffredo per la segnalazione):



La domanda, insomma, non dovrebbe essere "perché non c'è un cratere sotto il motore del modulo lunare?" ma semmai va girata ai lunacomplottisti: e perché mai dovrebbe esserci un cratere?


Facciamo due conti


Possiamo quantificare la spinta del motore del modulo lunare necessaria a sostentare il veicolo attingendo ai dati tecnici. Innanzi tutto, la gravità sulla Luna è un sesto di quella terrestre, per cui sulla Luna le 15 tonnellate di peso del modulo lunare diventavano 2,5 tonnellate.

Non solo: il dato di 15 tonnellate è riferito al peso iniziale del veicolo, che però diminuiva man mano che veniva consumato il propellente. Nella missione Apollo 12, per esempio, i dati di telemetria (pubblicati in The Nasa Mission Reports, Apogee Books, 1999) documentano che il veicolo aveva perso circa 8000 kg di massa per via della combustione del propellente, per cui la sua massa al momento dell'allunaggio era circa 7000 kg anziché 15.000. Nella gravità lunare, questo si traduce in un peso di circa 1200 kg. Per tenere librato il modulo lunare appena prima dell'allunaggio, insomma, era sufficiente una spinta di 1200 kg.

Se un aereo che genera 9,5 tonnellate di spinta come l'Harrier non scava crateri, perché avrebbe dovuto scavarne uno il modulo lunare, che ne generava 1,2?


Segni di bruciatura


Ci si può chiedere se un motore a razzo come quello del modulo lunare avrebbe dovuto produrre una bruciatura o fusione delle rocce lunari sottostanti, anziché limitarsi a spazzare via la polvere superficiale come si nota nei filmati degli allunaggi. E' un dubbio legittimo: ma se dal dubbio si passa all'accusa di messinscena perché mancano questi segni, allora sta al lunacomplottista dimostrare che il motore del modulo lunare avrebbe dovuto bruciare o fondere le rocce. Finora nessuno lo ha fatto.

Secondo i dati e gli esperimenti di Clavius.org, la temperatura del getto dello stadio di discesa del modulo lunare, all'uscita dall'ugello, era circa 1500°C. Il getto, però, si espande rapidamente nel vuoto dello spazio, per cui (come qualunque gas che si espande) si raffredda molto rapidamente. Non solo: Clavius.org ha verificato che neanche cinque minuti di torcia ossiacetilenica, che brucia a oltre 3100°C, sono sufficienti a fondere una roccia simile a quella lunare. L'unico effetto che si ottiene è un leggero scolorimento.


Nessun effetto visibile?


Ci si potrebbe aspettare grandi nubi di polvere, come quelle visibili nella foto dell'Harrier mostrata qui sopra, ma occorre ricordare che sulla Luna non c'è atmosfera e quindi non si produce un nuvolone di polvere: semplicemente la polvere schizza via dritta in tutte le direzioni. Infatti in tutti i filmati degli allunaggi si vede la polvere che viene spinta via quasi orizzontalmente, senza formare le volute che invece formerebbe in presenza d'aria. Questo indica che le immagini furono riprese nel vuoto.

Osservando attentamente le foto scattate sulla Luna si vedono comunque alcuni fenomeni prodotti dal getto del motore di discesa del modulo lunare. Per esempio, la superficie spazzata dal getto del motore è molto più liscia rispetto al terreno circostante e mostra segni di erosione prodotta da un fluido in questa foto, AS11-40-5920:





La fotografia AS11-40-5921 (qui sotto) mostra invece la forma radiale di quest'erosione e un lieve scolorimento direttamente sotto l'ugello del modulo lunare. Lo scolorimento, secondo Clavius.org, può essere dovuto sia agli effetti termici, sia a una reazione chimica con il tetrossido d'azoto utilizzato dal motore come comburente.





Sono effetti poco spettacolari, ma la cosa più significativa è che sono in contrasto con la rappresentazione popolarmente attesa: se la NASA avesse creato una messinscena, perché avrebbe dovuto complicarsi la vita mostrando effetti diversi da quelli che ci si aspettava comunemente? Sarebbe stato molto più semplice restare fedeli alle illustrazioni artistiche.

2009/02/19

Troppe foto: è impossibile che gli astronauti ne abbiano scattato così tante in così poco tempo! (UPD20100427)

di Paolo Attivissimo. L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

Le foto scattate sulla Luna sono troppe: gli astronauti non avrebbero avuto tempo di farne così tante, quindi alcune sono sicuramente false. Questa è la teoria sostenuta, per esempio, da Jack White presso Aulis.com:

Here is my actual count of EVA photos of the six missions:

Apollo 11........... 121
Apollo 12........... 504
Apollo 14........... 374
Apollo 15..........1021
Apollo 16..........1765
Apollo 17..........1986

So 12 astronauts while on the Moon's surface took a TOTAL of 5771 exposures.

That seemed excessively large to me, considering that their TIME on the lunar surface was limited, and the astronauts had MANY OTHER TASKS OTHER THAN PHOTOGRAPHY. So I returned to the Lunar Surface Journal to find how much TIME was available to do all the scientific tasks AS WELL AS PHOTOGRAPHY. Unlike the number of photos, this information is readily available:

Apollo 11........1 EVA .....2 hours, 31 minutes......(151 minutes)
Apollo 12........2 EVAs.....7 hours, 50 minutes......(470 minutes)
Apollo 14........2 EVAs.....9 hours, 25 minutes......(565 minutes)
Apollo 15........3 EVAs...18 hours, 30 minutes....(1110 minutes)
Apollo 16........3 EVAs...20 hours, 14 minutes....(1214 minutes)
Apollo 17........3 EVAs...22 hours, 04 minutes....(1324 minutes)

Total minutes on the Moon amounted to 4834 minutes.
Total number of photographs taken was 5771 photos.

Hmmmmm. That amounts to 1.19 photos taken EVERY MINUTE of time on the Moon, REGARDLESS OF OTHER ACTIVITIES. (That requires the taking of ONE PHOTO EVERY 50 SECONDS!)

White afferma inoltre (fra le altre accuse) che gli astronauti dell'Apollo 11 fecero uno scatto ogni 15 secondi durante la loro passeggiata lunare:

Apollo 11........one photo every 15 seconds
Apollo 12........one photo every 27 seconds
Apollo 14........one photo every 62 seconds
Apollo 15........one photo every 44 seconds
Apollo 16........one photo every 29 seconds
Apollo 17........one photo every 26 seconds

Tuttavia lui stesso dice che la passeggiata dell'Apollo 11 durò 151 minuti e che le foto scattate durante la passeggiata furono 121. I dati sono quasi esatti: il caricatore di pellicola usato durante la passeggiata lunare dell'Apollo 11 contiene 122 scatti effettuati all'esterno del modulo lunare (catalogati con i codici da AS11-40-5850 ad AS11-40-5970, più AS11-40-5882A), consultabili presso Apollo Archive, e l'escursione di Aldrin e Armstrong durò due ore e 31 minuti, secondo l'Apollo Definitive Sourcebook.

Ma un conto elementare rivela che 122 foto in 151 minuti non sono "una foto ogni 15 secondi", ma meno di una foto al minuto. Come fa White ad arrivare a 15 secondi? Facile: introduce un valore "arbitrario" (lo chiama lui così) di due ore, da sottrarre a causa delle altre attività degli astronauti durante l'escursione:

Let's arbitrarily calculate a MINIMUM time for these tasks and subtract from available photo time.

Perché proprio due ore, e non due e un quarto, o una e mezza? White non fornisce alcuna ragione per la sua scelta di questo dato. E' molto facile ottenere risultati impossibili se si alterano i dati a proprio favore introducendo valori arbitrari.

Inoltre White evita di specificare che gli astronauti fecero molti scatti doppi e multipli: due o più foto fatte nello stesso punto, senza perdere tempo a riposizionarsi e riprendere la mira. Vediamo alcuni esempi.


Apollo 11


Nella prima missione con sbarco sulla Luna, l'Apollo 11, furono scattate foto in sequenza come le due mostrate qui sotto: a destra, Buzz Aldrin fa il saluto militare, a sinistra no, e il punto di ripresa è identico. Le foto sono la AS11-40-5874 e AS11-40-5875.



Gli astronauti fecero inoltre intere serie di scatti in rapida successione durante le riprese panoramiche, stando fermi nello stesso punto e ruotando su se stessi. In una panoramica si possono fare una decina di scatti in pochi secondi (provateci con la vostra macchinetta), e questo altera non poco il calcolo del tempo medio.

Per esempio, le foto da AS11-40-5881 ad AS11-40-5891 (11 scatti, quasi il 10% di tutte le foto della passeggiata) furono riprese da Buzz Aldrin per formare questa panoramica (assemblata da Dave Byrne per l'Apollo Lunar Surface Journal) (fonte):



Sempre nella stessa missione, le foto da AS11-40-5905 ad AS11-40-5916 (12 scatti, il 10% del totale) compongono un'altra panoramica scattata da Buzz Aldrin, assemblata da Brian McInall sempre per l'ALSJ (fonte):



Le foto da AS11-40-5930 ad AS11-40-5941 (dodici scatti) furono fatte da Neil Armstrong per formare una panoramica, mostrata qui sotto e composta ancora da Brian McInall per l'ALSJ (fonte):



L'Apollo 11 Preliminary Science Report contiene come Figura 3.15 questa mappa che indica il luogo e la direzione di ognuno degli scatti lunari della missione:



Oltre alle panoramiche mostrate fin qui, si nota che anche le foto dalla 5850 alla 5858 (9 scatti) formano una panoramica, e che lo stesso vale per le foto dalla 5954 alla 5961 (8 scatti).

In totale, quindi, ben 52 foto su 121 fanno parte di panoramiche, nelle quali le foto furono scattate in rapida sequenza, senza spostarsi e senza rimettere a fuoco fra uno scatto e il successivo. Non c'è da stupirsi che gli astronauti ne abbiano scattate così tante; c'è invece da stupirsi che Jack White, che afferma di essere profondo studioso della materia, non abbia considerato questo fatto ampiamente documentato ed evidente dalle foto stesse.



Altre missioni


Lo stesso concetto vale anche per le altre missioni Apollo. Ecco, per esempio, alcuni brani delle conversazioni tra gli astronauti Young e Duke durante la missione Apollo 16, tratti dall'Apollo Lunar Surface Journal:

167:45:27 Duke: Take a picture of that so they'll know where it came from.

[John takes seven pictures, AS16-116-18647, 18648, 18649, 18650, 18651, 18652, and 18653 during this Outhouse Rock sampling operation. Note that Charlie has a pack of sample bags hooked to his little finger.]


Un video di una procedura di ripresa panoramica è disponibile qui sotto ed è tratto dalla seconda escursione della missione:


Le panoramiche della missione sono catalogate qui nell'Apollo Lunar Surface Journal. Questa è quella composta dalle foto AS16-113-18313 fino a 18330 ed è stata realizzata digitalmente da Lennie Waugh per l'Apollo Lunar Surface Journal:



Gli astronauti, inoltre, scattarono molte foto in coppie per produrre immagini stereoscopiche. Una foto stereoscopica è composta da due scatti fatti simultaneamente o a brevissima distanza di tempo da due punti di vista leggermente differenti. Se White li conta come due scatti separati, i suoi risultati diventano ancora più arbitrari.

167:51:48 Duke: Click. Click. Okay. (Pause)

[We can see Charlie step to his right between frames of the cross-Sun stereopair, AS16-106- 17347 and 17348. These pictures give us a good view of John's sample bags.]

...

167:58:58 Duke: (Laughing) I's (sic) just teasing, boss. (Pause; John laughs)

[John takes a second cross-Sun stereopair of "befores" from the north, AS16-116- 18658 and 18659, and then a "locator" to the Rover, 18660. Note that the absence of a gnomon makes it much more difficult to compare features in successive photographs.]

...

168:01:30 England : Okay. Good show.

[Fendell has zoomed in on a meter-sized, white boulder near the right-front Rover wheel. Charlie is just beyond the boulder. He plants the scoop and hops back to take a cross-Sun stereopair, AS16-106- 17355 and 17356. In the photos, we can see an imprint beyond the rock that marks its original location.]


Un esempio delle tante foto scattate in coppie stereoscopiche è quello mostrato qui sotto, ottenuto combinando le foto AS16-117-18815 e 18816 e disponibile in alta risoluzione qui.



Il concetto è quindi chiaro: la tesi di White è basata su premesse artificiose e grossolanamente errate.

2009/02/18

Negli archivi della NASA ci sono foto ritoccate, quindi sono tutte false!

di Paolo Attivissimo, con il contributo di A Brief History of AS11-40-5903.

Alcuni scettici a proposito delle missioni lunari, a furia di sfogliare le immagini degli sbarchi, si accorgono di un fatto che li sorprende enormemente: alcune delle foto sono ritoccate. Da questo deducono che siano tutte false e ritengono quindi di avere una prova della presunta messinscena.

Certo che ci sono foto ritoccate. Ma il ritocco è puramente estetico e non arriva mai alla falsificazione. Anche le foto di Naomi Campbell sui giornali sono ritoccate per rimuovere le imperfezioni della sua pelle, ma questo non vuol dire che Naomi non esista e che il fotografo non l'abbia immortalata e l'abbia sostituita con la sua portinaia.

Molte foto lunari furono inquadrate male o riprese storte. Questi errori di composizione vengono corretti nelle versioni distribuite dalla NASA alla stampa, per la pubblicazione su quotidiani, libri e riviste; talvolta le crocette (fiducials o reseau marks in inglese) vengono rimosse col fotoritocco, ma la NASA mette a disposizione presso Apolloarchive (www.hq.nasa.gov) scansioni dei fotogrammi intatti originali che permettono di notare le modifiche. Non c'è nulla da "nascondere".

Per esempio, una delle più celebri immagini del primo sbarco sulla Luna, la AS11-40-5903, è da sempre ritoccata piuttosto pesantemente per ragioni estetiche: la vedete qui sotto in una delle versioni abitualmente utilizzate.



C'è anche questa, che mostra un'inquadratura più ampia ed è catalogata come NASA Headquarters release 69-HC-684.



La versione qui sotto è tratta invece dalla pubblicazione NASA SP-350, Apollo Expeditions to the Moon, del 1975:



E questa è la versione pubblicata dalla rivista LIFE subito dopo il ritorno dell'Apollo 11, l'8 agosto 1969:



Confrontate quest'immagine con la versione pubblicata sul sito Great Pictures della NASA e mostrata qui sotto (la versione ad alta risoluzione è disponibile qui):



In tutte queste versioni, che pure sono "ufficiali", è stata aggiunta una fetta di cielo per ottenere una foto più bilanciata. Anche nella foto di Great Pictures, l'aggiunta si nota grazie alla presenza delle crocette o fiducials: si nota che quella centrale, più grande delle altre, non è centrata, ma è spostata in basso, segno che è stata aggiunta una fetta nella parte superiore dell'immagine. Infatti nell'originale presso Apolloarchive la foto è troncata così:



Quindi i ritocchi ci sono, ma non sono quelli che pensano i complottisti.

Non solo: a riprova dell'approccio corretto della NASA al ritocco, va notato che l'inquadratura tronca l'antenna radio che si dovrebbe vedere sopra lo zaino dell'astronauta, ma la NASA non ha disegnato un'antenna finta. Guardando il dettaglio della scansione originale completa, si scorge la base dell'antenna, mozzata dall'inquadratura infelice:



Se è ritoccata, vuol dire che sulla Luna ci siamo andati


Quest'immagine è interessante anche da un altro punto di vista: tecnicamente è una delle peggiori in assoluto. Innanzi tutto è paurosamente storta, e poi è composta male, senza lasciare spazio sopra la testa dell'astronauta, che rischiava di finire decapitato, come nelle foto dei peggiori dilettanti. Non pensate che se fosse stata preparata in studio avrebbero fatto di meglio?

In realtà questa foto conferma le difficoltà di ripresa degli astronauti, che soprattutto nelle prime missioni lunari non potevano portare la fotocamera al viso per prendere la mira: la fotocamera era fissata al petto, e gli astronauti prendevano la mira spostando il corpo.

Fra l'altro, bisogna che questi lunacomplottisti si decidano: o dicono che le foto sono fatte in studio, e allora non si capisce perché ci sia stato bisogno di ritoccarle (bastava rifarle); oppure dicono che le foto sono ritoccate, ma allora questo implica che sono state fatte davvero sulla Luna.

Volete mettervi d'accordo una buona volta?

Perché le radiazioni delle fasce di Van Allen non hanno ucciso gli astronauti e velato le pellicole?

di Paolo Attivissimo. L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale. Ultimo aggiornamento: 2017/04/09.

Capita spesso di sentir dire dai sostenitori della messinscena lunare che le fasce di van Allen, zone di radiazione intensa disposte intorno alla Terra, sarebbero un ostacolo letale per qualunque missione lunare con astronauti a bordo, e che quindi gli sbarchi umani sulla Luna delle missioni Apollo sarebbero impossibili.

Per esempio, ecco come ne parla Massimo Mazzucco su Luogocomune.net:

Sarebbe infatti impossibile, a detta di ogni scienziato che si rispetti, che un qualunque essere vivente attraversi addirittura le Fasce di Van Allen, altrochè arrivare sulla Luna. (Le F. sono una stretta e poderosa cintura di radiazioni, che va da un polo all'altro della Terra, e che a sua volta protegge la Terra dalle radiazioni cosmiche, ma alla quale è impensabile per noi anche solo avvicinarsi. Ci hanno provato, negli ultimi anni, gli astronauti dello Shuttle, con risultati ben poco confortanti).




Va notata, innanzi tutto, la totale assenza di fonti tecniche di supporto a quest'affermazione. Si dice "a detta di ogni scienziato che si rispetti", ma non viene fatto neppure un nome né fornito alcun riferimento a pubblicazioni autorevoli di settore. Questo è semplicemente un ipse dixit camuffato.

Lo stesso vale per l'asserzione riguardante gli astronauti dello Shuttle: quali di loro vi avrebbero provato, e in quale missione e con quali risultati? Mistero. Non viene detto nulla sulla fonte di queste asserzioni, e al lettore viene chiesto di fidarsi ciecamente dell'autorevolezza di chi scrive. In questo caso si tratta di un fotografo e regista, Massimo Mazzucco, la cui competenza in campi elettromagnetici spaziali è priva di qualunque conferma.

In realtà la questione della relativa pericolosità delle radiazioni delle fasce di Van Allen è ben nota e fu prevista dalle missioni Apollo. L'esposizione alle fasce fu calcolata e misurata tramite lanci di prova: specificamente, la missione Apollo 6 (aprile 1968) portò in orbita terrestre una capsula Apollo priva di equipaggio e piena di strumenti proprio per misurare la capacità della capsula di bloccare le radiazioni delle fasce di Van Allen, come descritto nell'Apollo Definitive Sourcebook.

L'esposizione risultò comparabile a quella di qualche radiografia medica, quindi più che sopportabile. Le fasce di van Allen, infatti, non sono affatto una zona letale per qualunque essere umano. Questo è un fatto assodato e documentato da un gran numero di pubblicazioni tecniche e scientifiche, di cui qui sotto trovate gli estremi, ed è spiegato molto chiaramente in italiano da Luca Boschini, che si qualifica come laureato in ingegneria elettronica al Politecnico di Milano e progettista elettronico per una ditta del milanese che produce sistemi per satelliti e sonde spaziali. Una persona che quindi con le radiazioni dello spazio deve fare i conti molto concretamente. Nel suo articolo su Vialattea.net, Boschini spiega che

durante il viaggio verso la Luna gli astronauti hanno subito, al peggio, dosi paragonabili a quelle che riceve in qualche anno un lavoratore che ha a che fare con materiale radioattivo, per cui il rischio che hanno corso a causa di ciò si può ritenere, in base ai dati epidemiologici, trascurabile.


C'è di più. Presso MAD Scientist, per esempio, c'è un articolo di Bill Wheaton (1918-2002), per 15 anni specialista in astronomia a raggi gamma presso il Jet Propulsion Laboratory (JPL) ed astronomo presso lo Spitzer Space Telescope Science Center alla Caltech di Pasadena, in California. L'articolo fornisce dati concreti sulle radiazioni nello spazio e specificamente nella zona più pericolosa, appunto le contestate fasce di Van Allen, che furono attraversate molto rapidamente dagli astronauti Apollo. Una versione ampliata del medesimo articolo è disponibile presso Wwheaton.com. Da questa fonte emerge che i dati scientifici sulle radiazioni spaziali devono essere veritieri, altrimenti anche i satelliti automatici odierni non funzionerebbero e verrebbero fritti.

L'articolo di Wheaton contiene inoltre il seguente elenco di fonti tecnico-scientifiche:


Per quanto riguarda le radiazioni sulla Luna, l'astronomo Phil Plait documenta in "Bad Astronomy: Misconceptions and Misuses Revealed, from Astrology to the Moon Landing 'Hoax'" (John Wiley & Sons, ISBN 0-471-40976-6) che i dosimetri portati dagli equipaggi Apollo rilevarono un dosaggio cumulativo circa pari a una radiografia toracica, ossia 1 milligray. La dose media è risultata inferiore a 1 rem, pari alla radiazione prodotta dall'ambiente che si riceve, al livello del mare, in tre anni.

In altre parole, una missione lunare di pochi giorni come quelle Apollo comporta radiazioni complessivamente equivalenti a una radiografia o a tre anni di vita sulla Terra.

La NASA dichiara, nel Mission Report dell'Apollo 11, che la dose totale di radiazioni misurata dai dosimetri e ricevuta dagli astronauti fu compresa fra 0,25 e 0,28 rad (si noti l'unità di misura, diversa dal rem), quindi al di sotto dei valori significativi dal punto di vista medico:

The total integrated, but uncorrected, doses were 0.25, 0.26, and 0.28 rad for the Commander, Command Module Pilot, and Lunar Module Pilot, respectively. The Van Allen Belt dosimeter indicated total integrated doses of 0.11 rad for the skin and of 0.08 rad for the depth reading during the entire mission. Thus, the total dose for each crewman is estimated to have been less than 0.2 rad, which is well below the medically significant level.

(pagina 12-3, paragrafo 12.2.4 del Mission Report)


Un ulteriore approfondimento è disponibile in "Biomedical Results of Apollo" e in "Apollo Experience Report - Protection Against Radiation".

Inoltre l'articolo "Missione impossibile?" della rivista Le scienze del luglio 2006, scritto da Eugene N. Parker, definito come maggior esperto mondiale di gas interplanetari e di campi magnetici, riporta una tabella dei valori, in rem all’anno, assorbiti da un essere umano che risiedesse alla quota corrispondente:

Livello del mare: 0,02 - 0,04
1500 metri: 0,04 - 0,06
3000 metri: 0,08 – 0,12
12000 metri (jet): 2,8
Orbita terrestre bassa: 10
Fasce di Van Allen: 1500
Superficie lunare: 7 – 12
Spazio interplanetario: 13 – 25
Spazio interstellare: 30 – 70

Nessun lunacomplottista è stato finora in grado di smentire documentatamente tutti questi dati o almeno di citare un documento scientifico a supporto delle proprie asserzioni di letalità.

Questi stessi dati dimostrano inoltre che queste dosi di radiazioni non sono sufficienti a velare le pellicole, come teorizzano alcuni sostenitori dei lunacomplotti. Le pellicole, infatti, ricevettero dosi ancora minori di radiazioni rispetto agli astronauti, essendo protette in appositi involucri proprio in previsione di questo problema.

In altre parole: alla NASA non erano scemi. Ci pensarono prima, e presero le misure del caso chiedendo ai migliori esperti di settore. Proprio quello che i sostenitori del complotto lunare sembrano incapaci di fare.


2017/04/09


Amy Shira Teitel, storica delle missioni spaziali, racconta in dettaglio la questione delle fasce di Van Allen in questo video ricco di riferimenti tecnici. Il video mostra i dosimetri utilizzati dagli astronauti di Apollo 11 e fra l'altro risponde specificamente (da 9:35 in poi) a chi cita il video di un ingegnere, Kelly Smith, che parla della ricerca per produrre una protezione antiradiazioni per il futuro veicolo Orion.

La Teitel nota una cosa molto importante: Smith non dice che questa protezione non è mai stata realizzata prima. Dice che è un problema da risolvere specificamente per il nuovo veicolo Orion e non per i suoi equipaggi, ma per i suoi componenti elettronici, perché i microcomponenti di oggi sono molto più sensibili alle radiazioni di quelli massicci degli anni Sessanta.

2009/02/13

Costruire un modello fisico della scena dell'allunaggio / 2

di Paolo Attivissimo. L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

(segue da qui) Ultimato il modello in scala 1:72 del LM, come descritto nella prima parte di questa serie di articoli, si tratta ora di ricostruire il terreno lunare così come si presentava nelle vicinanze del modulo lunare della missione Apollo 11.

La cartografia più dettagliata finora reperita della zona d'allunaggio dell'Apollo 11 si trova nel libro Lunar Sourcebook, della Cambridge University Press. Il testo è al momento acquistabile soltanto in forma digitale su CD, presso il Lunar and Planetary Institute, a 30 dollari (più 13 di spese di spedizione).

Naturalmente l'ho acquistata subito: è una messe immensa di dati (oltre 700 pagine), e oltretutto non capita tutti i giorni di ricevere una fattura da un ente che si chiama Istituto Lunare e Planetario e si occupa sul serio di Luna, per cui eccovene un'immagine scattata al volo.



A pagina 612 di questo libro compare il grafico mostrato qui sotto (cliccabile per ingrandirlo), che traccia la mappa dei crateri nella zona d'allunaggio e vi sovrappone la posizione del LM, degli esperimenti lasciati al suolo e dei passi degli astronauti. La stessa mappa, in scala leggermente più modesta, è disponibile anche nel PDF riassuntivo Apollo Traverses and Summary of Science Discoveries, scaricabile gratuitamente.



Nella mappa, LM è il modulo lunare, ALSCC è la fotocamera per riprese ravvicinate del suolo, SWC è l'esperimento di raccolta del vento solare, PSE è il sismografo, LRRR è il retroriflettore per distanziometria laser, FLAG è la bandiera. Le linee grigie indicano gli spostamenti degli astronauti. Il nord è in alto.

Sulla base delle altre fonti cartografiche NASA, si può appurare che la traiettoria di allunaggio, il ground path, è da est verso ovest (da destra a sinistra nella mappa), passando sopra il cratere denominato Little West. Osservando le ombre nelle foto della missione, si determina che il sole era a nord-ovest e che la sua altezza sull'orizzonte era di circa 9°. In considerazione della durata breve della missione (2 ore e 36 minuti di passeggiata, 21 ore e 31 minuti di tempo trascorso dal LM sulla superficie) rispetto alla durata del giorno lunare (circa 14 giorni terrestri), si può considerare sostanzialmente invariata l'altezza del sole per tutta la durata dello sbarco.

Per ricostruire la superficie lunare ho acquistato un pannello di polistirene, compatto e leggero (cosa importante per il trasporto) e vi ho proiettato sopra, usando un videoproiettore, la mappa mostrata qui sopra, segnando i punti significativi: l'ubicazione del LM, degli apparati e dei crateri più grandi. Per esigenze di spazio e trasporto ho usato un pannello le cui dimensioni consentono di modellare in scala 1:72 la porzione di mappa mostrata qui sotto.


Ho scolpito, carteggiato e dipinto a spruzzo il pannello usando una vernice color granito di consistenza granulosa, fino a ottenere il risultato mostrato qui sotto in queste prime prove fotografiche fatte alla buona.






Questo modello, per quanto schematico, permetterà di verificare alcuni dei principali capisaldi delle teorie di messinscena: per esempio, le ombre convergenti, l'astronauta troppo illuminato sulla scaletta del LM, e l'ombra del LM che sembra arrivare all'orizzonte, nonché di osservare alcuni effetti ottici poco intuitivi che alimentano queste teorie, come la variabilità del colore del suolo lunare a seconda dell'angolazione rispetto alla fonte di luce e a seconda dell'esposizione della pellicola.

Il costo totale del progetto, incluse le vernici, il modello e il pannello di polistirene, è stato di circa 100 euro. Il modello è stato collaudato durante il corso CICAP a febbraio 2009, come descritto anche in video in questo articolo.

2009/02/11

Sulla Luna la temperatura oscilla da -100 a +100°C, come ha fatto la pellicola a non liquefarsi? (UPD 20100225)

di Paolo Attivissimo. Vignetta di Moise, pubblicata per gentile concessione dell'autore.

"Le pellicole fotografiche sono piuttosto delicate e, se esposte ad un calore eccessivo, si deteriorano con facilità: perdono di contrasto e, nel caso di materiale a colori, anche di equilibrio cromatico. Su questo tema l'autorevole rivista fotografia REFLEX, nel mese di agosto 1995, ha pubblicato un lungo articolo sui deterioramenti introdotti dall'esposizione dei rullini di pellicola fotografica ad un calore eccessivo. Nell'articolo si legge: 'Tutte le pellicole professionali vanno conservate in frigorifero, proprio per poterne mantenere inalterate le caratteristiche chimiche'..."

"Le macchine fotografiche [sulla Luna] passavano da una temperatura di +100° nelle zone esposte alla luce solare diretta, ai -100° delle zone d'ombra. Immaginate quale stress termico avrebbe subito un materiale tanto delicato come un'emulsione fotografica..."

– Bill Kaysing, Non siamo mai andati sulla Luna, pag. 53-54.

Stando a quanto scritto da Kaysing, insomma, le fotografie lunari sarebbero state impossibili. Ma l'analisi dei fatti dimostra che questo autore lunacomplottista è scivolato su un errore scientifico grossolano.

Innanzi tutto, le temperature citate sono quelle massime e minime, che si raggiungono rispettivamente dopo il mezzogiorno lunare (quindi dopo almeno sette giorni terrestri di esposizione al sole) e appena prima dell'alba (dopo quattordici giorni terrestri di buio). Gli sbarchi lunari avvennero tutti poco dopo l'alba lunare, quando le temperature erano lontane da questi estremi. L'elevazione massima del Sole sull'orizzonte fu di 48,7° al termine della terza escursione dell'Apollo 16. Nella stessa missione furono rilevate temperature di 57°C al sole e -100°C all'ombra.

In secondo luogo, quei valori si riferiscono alla temperatura del suolo lunare. Ma sulla Luna non c'è un'atmosfera significativa che possa essere riscaldata dal suolo, per cui non c'è modo di trasmettere calore dal suolo alla pellicola. È lo stesso principio del vuoto isolante che funziona così bene nei thermos. Nel vuoto, il calore non si propaga per conduzione e/o convezione, come sulla Terra, ma soltanto per irradiazione. Non c'è aria calda che scaldi gli oggetti per contatto. Di conseguenza, la temperatura al suolo è praticamente irrilevante per la pellicola, e parlare di questi valori estremi di temperatura in relazione alle pellicole è ingannevole ed è un errore dilettantesco.

Inoltre sulla Luna un oggetto esposto al sole riceve praticamente la stessa quantità di energia termica che riceve sulla Terra in alta montagna in una giornata limpida, perché l'irradiazione dipende dalla distanza dalla fonte di calore, e la Luna e la Terra sono sostanzialmente alla stessa distanza dal Sole. Non c'è nulla di magicamente incendiario nella luce solare che colpisce la Luna: è la stessa che riceviamo qui sul nostro pianeta.

In altre parole, una pellicola esposta al sole sulla Luna subisce lo stesso tipo di sollecitazioni termiche che subisce sulla Terra in una giornata di sole intenso in alta montagna. E tutti sappiamo che persino i turisti riescono a fare foto in montagna, e persino nel caldo dei tropici o del deserto, senza che si squagli la pellicola o vengano fuori colori orripilanti.

Si può obiettare che sulla Luna il lato esposto al sole della fotocamera si scalda fortemente, mentre quello in ombra si raffredda altrettanto intensamente; ma occorre tenere conto del fatto che questi processi non sono repentini, anche perché fra fotocamera e pellicola c'è poco trasporto di calore: infatti dentro la fotocamera c'è il vuoto, proprio come in un thermos. Il calore e il freddo si propagano dal corpo macchina verso la pellicola e viceversa per conduzione soltanto nelle poche zone di contatto fra corpo e pellicola.

Del resto, se si sostiene che è impossibile che una pellicola sopporti le condizioni di vuoto e di temperatura sulla Luna, allora si deve sostenere che tutte le foto mai fatte nello spazio durante le passeggiate spaziali russe e americane sono dei falsi, perché non ci sono differenze, né di temperatura né di vuoto né di esposizione al sole, fra le condizioni sulla Luna e quelle in orbita intorno alla Terra.

Inoltre, dato che alla NASA non erano stupidi, le fotocamere lunari (delle Hasselblad) erano state trattate appositamente in modo da avere superfici riflettenti, anziché quelle classiche nere. Queste superfici riflettenti respingevano gran parte del calore ricevuto dal sole e mediamente tenevano la pellicola a una temperatura ottimale. Si può vedere un esempio di questo trattamento superficiale delle fotocamere nelle immagini qui sotto.



Una Hasselblad EDC del tipo usato per le missioni lunari Apollo. Immagine tratta da Hasselblad.com.

Si può poi obiettare, come notato sopra, che la pellicola chimica ha una gamma di temperature piuttosto ristretta, tanto che i fotografi professionisti stanno bene attenti a tenere le pellicole al caldo o al fresco secondo necessità. Ma questa è una gamma ottimale, specificata per ottenere i risultati cromatici migliori: non vuol dire che al di fuori della gamma la pellicola si rompe o si liquefa.

Nel caso delle foto lunari, oltretutto, non fu impiegata una pellicola qualsiasi: fu adottata una pellicola da 70 mm della Kodak, concepita appositamente per le ricognizioni fotografiche in alta quota, nelle quali doveva sopportare temperature fino a -40°C. La pellicola aveva una base sottile di poliestere (Estar) fatta su misura, che fonde a circa 260°C, ed usava un'emulsione Ektachrome in grado di lavorare su un'ampia gamma di temperature.

Fra l'altro, il supporto sottile forniva altri vantaggi: permetteva a ciascun caricatore di contenere 160 pose a colori e 200 in bianco e nero e garantiva buona stabilità dimensionale (la pellicola si deforma di meno). Questo tipo di supporto era inoltre necessario per le missioni spaziali, perché nel vuoto il poliestere tende a rilasciare meno vapori solventi, potenzialmente dannosi, rispetto ai normali supporti a base di cellulosa (Photography Equipment and Techniques, pag. 116-117).

Per le riprese a colori furono utilizzate pellicole invertibili, ossia pellicole che possono essere sviluppate in modo da produrre un'immagine positiva (con i colori corretti). La scelta può sembrare strana, dato che la pellicola per negativi ha una maggiore tolleranza alle condizioni di luce difficili e alle sovra e sottoesposizioni, ma fu dettata dal fatto che usando dei negativi sarebbero sorti problemi di fedeltà dei colori. Nelle foto scattate nello spazio o sulla Luna, infatti, sarebbe mancato spesso qualunque oggetto familiare da usare come riferimento per i colori, come si fa sulla Terra, e quindi i tecnici dei laboratori fotografici non avrebbero saputo come regolare il procedimento di stampa dei negativi per ottenere i colori reali. La pellicola per diapositive non ha questo problema.

La pellicola da 70 mm utilizzata nelle Hasselblad lunari fu, secondo i documenti (6) e (7), dei seguenti tipi:

  • SO-368: Kodak Ektachrome MS invertibile a colori, ASA 64
  • SO-168: Kodak Ektachrome EF invertibile a colori, ASA 160
  • SO-164 o 3400: Kodak Panatomic-X, in bianco e nero, ASA 80

Le pellicole di tipo SO-168 esposte in interni, identificate dalla sigla CIN (Color Interior), furono esposte e sviluppate a 1000 ASA.

L'errore dei lunacomplottisti è, ancora una volta, quello di sottovalutare la competenza tecnica degli esperti di settore, che a queste e mille altre cose hanno ovviamente pensato proprio perché esperti, e di misurare gli altri con il metro delle proprie inadeguatezze.

Fonti: 
(1) Astronaut Still Photography During Apollo
(2) Photography Equipment and Techniques: A Survey of NASA Developments
(3) Apollo Missions Photography
(4) Apollo 11 Mission Photography
(5) Apollo 11 photography 70-mm, 16-mm, and 35-mm index
(6) Apollo 11 Lunar Photography (NSSDC Report 70-06)
(7) Apollo 12 Photography Index (NASA CR-197662)

Nelle foto mancano le tracce delle ruote del Rover!

di Paolo Attivissimo

Come mai in alcune foto scattate dagli astronauti delle missioni Apollo non si vedono le tracce, nel suolo lunare, delle ruote del veicolo semovente (Lunar Rover), né davanti né dietro, mentre nello stesso suolo si vedono molto bene le impronte delle suole degli astronauti?

Semplice, sostengono i lunacomplottisti: perché gli assistenti di scena si sono dimenticati di tracciarle. Hanno sollevato il Rover per metterlo in posizione nello studio cinematografico, ma si sono scordati di creare l'impronta delle ruote nel terreno. Che sbadati! Fregati da un dettaglio così banale.

Battute a parte, ci sono varie ragioni per quest'assenza di tracce di ruote. In alcune foto, le tracce sono state coperte dalle impronte degli astronauti, che spesso scendevano dal veicolo e ci giravano intorno. In un caso (Apollo 17) dovettero anche riparare un parafango, quindi è facile immaginare quanto ci avranno lavorato intorno, eliminando di conseguenza con le proprie impronte ogni segno precedente delle ruote.

In altre foto, quelle riprese in zone più elevate, il veicolo si trovava su un terreno coperto da uno strato di polvere poco profondo, per cui le ruote hanno sì lasciato impronte, ma si tratta di segni tenui, visibili soltanto nelle foto ad alta risoluzione. Le tracce sono tenui anche perché il peso del veicolo era distribuito sull'area delle quattro ruote, per cui il Rover esercitava una pressione molto bassa sul terreno.

C'è anche una ragione poco intuitiva: il Lunar Rover era un veicolo estremamente leggero, e sulla Luna le cose pesano un sesto che sulla Terra. Il Rover pesava 200 kg sulla Terra e quindi sulla Luna pesava soltanto 33 kg (più precisamente, la sua massa è invariata ma il suo peso cambia, per cui lo sforzo necessario per sollevare il Rover sulla Luna corrispondeva a quello richiesto per sollevare 33 kg sulla Terra).

Di conseguenza, quando gli astronauti volevano fare curve strette o inversioni a U, sollevavano letteralmente un'estremità del Rover e lo giravano. Anzi, questa era un'operazione prevista durante lo sgancio del Rover dal modulo lunare: era necessario ruotare l'auto elettrica di 90 gradi.

Per esempio, la foto qui sotto, AS17-13-20979, si riferisce alla riparazione del parafango avvenuta durante la missione Apollo 17. Come si può notare, mancano le tracce del Rover, ma si nota anche che il terreno è pieno di impronte degli astronauti, che presumibilmente hanno cancellato le tracce delle ruote.



Si noti, inoltre, il tipo particolare di ruote: invece di pneumatici, pesanti e rischiosi da usare in caso di foratura, il Rover era dotato di ruote in maglia metallica, la cui trama fitta tendeva a lasciare tracce poco vistose.

Un altro bell'esempio di foto in cui sembrano mancare le tracce del Rover è la AS17-138-21039:



Quest'immagine, tuttavia, è un dettaglio di un'inquadratura molto più ampia, e questo è uno dei motivi per i quali di solito nelle versioni di questa foto pubblicate su Internet non si vedono le tracce delle ruote: qui sotto, nell'inquadratura completa, il Rover è la macchiolina poco sopra il centro.



L'altro motivo è che le tracce non sono dove ce le aspettiamo, ossia davanti o dietro al veicolo, ma di lato, perché il Rover è stato girato (si notino le impronte degli astronauti intorno al veicolo). Nella versione ad alta risoluzione della foto, infatti, le tracce si possono scorgere a destra, lungo il pendio, specialmente se si clicca sulla foto qui sotto per ingrandirla:



Ancora una volta, la presunta prova di falsificazione viene smontata dall'analisi delle foto in alta risoluzione e dalla conoscenza tecnica dei fatti.

Costruire un modello fisico della scena dell'allunaggio / 1

di Paolo Attivissimo

Per sbufalare certe teorie di falsificazione delle foto lunari non c'è niente di più eloquente, versatile ed efficace di un modello che riproduca la scena. Così vi propongo queste brevi istruzioni per creare a basso costo un diorama abbastanza fedele dell'allunaggio dell'Apollo 11, la missione clou per i lunacomplottisti (perché se è vera quella, la prima, è abbastanza difficile argomentare che quelle successive furono falsificate).

Per prima cosa ho acquistato un modello del LEM in scala 1:72 della Airfix (costo 10 euro tramite Misterkit.com). Eccone una foto durante la costruzione.



Il modello della Airfix soffre di alcuni errori grossolani: per esempio, nel modello i pannelli deflettori dei motori di manovra sono collegati all'Ascent Stage (lo stadio di decollo) e pendono dai cluster di motori, mentre dovrebbero essere uniti al Descent Stage da un telaio, come si nota in questa fotografia del LEM dell'Apollo 11:





Lo si nota più chiaramente nel modello più preciso in scala 1:32 mostrato qui sotto, venduto da Spacemodels.com alla ben più ragguardevole cifra di 3995 dollari. Purtroppo budget e tempo limitato non mi permettono né di acquistare questa versione, né di rimediare al difetto del modello Airfix.





Come riferimento per la colorazione ho usato le seguenti immagini tratte dalla missione Apollo 11.

Dettaglio della foto AS11-40-5962.


Dettaglio della foto AS11-44-6642.


Dettaglio della foto AS11-40-5947.


Dettaglio della foto AS11-40-5929.


Dettaglio della foto AS11-40-5863.


Ecco il risultato finale, con l'aggiunta del rivestimento dorato del Descent Stage mediante lamina metallizzata. Non è modellisticamente perfetto e inevitabilmente sono state necessarie alcune semplificazioni, ma lo scopo del modello è rendere gli ingombri, le ombre e le prospettive, non vincere un concorso di modellismo.





Nella seconda parte di quest'articolo verrà esaminata la ricostruzione dell'ambiente di allunaggio dell'Apollo 11, sulla base della cartografia e delle immagini della missione, tenendo conto anche dell'altezza del sole sull'orizzonte e della sua direzione.

2009/02/10

Visiere graffiate improbabili? Càpitano anche sulla Stazione Spaziale

di Paolo Attivissimo. L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

Spesso nelle foto lunari si scorgono nei caschi degli astronauti dei riflessi che i lunacomplottisti interpretano come riflettori o altri elementi del set della messinscena.

Per esempio, questa foto di Pete Conrad (Apollo 12), scattata da Alan Bean, catalogata come AS12-48-7071, viene spesso citata per segnalare la presenza di un "oggetto impossibile" riflesso nella parte superiore della visiera:

Alan Bean sulla Luna.

Dettaglio della foto precedente.

In realtà esaminando l'immagine in alta risoluzione si nota che si tratta di una chiazza irregolare, presumibilmente dovuta ai graffi prodotti dalla polvere lunare molto abrasiva che gli astronauti finivano per trovarsi sui guanti, che poi venivano portati alla visiera per regolarne i parasole (le alette bianche laterali sopra la visiera).

Ulteriore ingrandimento del dettaglio della foto precedente.

Alcuni sono increduli di fronte a questa spiegazione, perché ritengono erroneamente che i caschi degli astronauti siano fatti di qualche materiale fantascientifico, antigraffio e indistruttibile. Ma quest'autoritratto dell'astronauta Michael Fincke, scattato recentissimamente (il 23 dicembre 2008) puntando la fotocamera verso il proprio casco durante una passeggiata spaziale all'esterno della Stazione Spaziale Internazionale, mostra quanto siano delicati i rivestimenti protettivi (predisposti contro i raggi ultravioletti e l'eccessiva luminosità del sole) dei caschi:



Se questo è quello che succede a una visiera in un ambiente come quello della Stazione Spaziale Internazionale, non è difficile immaginare gli effetti di una polvere abrasiva come quella lunare, che non ha subito lo smussamento dovuto agli agenti atmosferici.

L'originale ad alta risoluzione della foto di Fincke qui sopra è scaricabile qui su Nasa.gov.


2013/07/11


La passeggiata spaziale di Luca Parmitano del 9 luglio 2013 ci ha regalato delle belle foto, fra le quali spicca questo autoscatto della visiera di Parmitano. Notate quanto è graffiata. In alto a destra, nel dettaglio della foto, si nota una macchia estesa molto simile a quella visibile nella foto di Alan Bean.

Credit: NASA
Dettaglio della foto precedente. Credit: NASA