2014/01/28

27 gennaio 1967: la tragedia di Apollo 1

di Paolo Attivissimo. L’articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale. Ultimo aggiornamento: 2017/01/27 19:00.

È il 27 gennaio 1967. Gus Grissom, Ed White e Roger Chaffee, i tre astronauti assegnati alla missione Apollo 204 (successivamente rinominata Apollo 1), primo volo orbitale con equipaggio del veicolo Apollo che dovrebbe portare l’America sulla Luna, muoiono nell’incendio della capsula nella quale sono sigillati da un triplice portello, durante una prova tecnica a terra, sulla rampa 34 del centro di lancio di Cape Kennedy. Sono le 18:31 ora locale; in Italia sono le 00:31 del 28 gennaio.

Ed White, Gus Grissom e Roger Chaffee.


L’incendio, violentissimo, è innescato da una scintilla prodotta nei cavi elettrici a contatto con i materiali infiammabili della capsula Apollo, che ardono nell’atmosfera di ossigeno puro a 1,13 atmosfere: una pressione superiore a quella atmosferica normale al livello del mare, necessaria per le esigenze della prova in corso. I soccorritori impiegano cinque interminabili minuti a farsi largo tra le fiamme e il fumo e ad aprire i complicatissimi portelli d’accesso, ma è troppo tardi: gli astronauti muoiono per asfissia in meno di un minuto.

L’interno carbonizzato della capsula Apollo nella quale perirono Grissom, White e Chaffee.

È il primo incidente mortale direttamente causato dal programma spaziale statunitense: altri astronauti sono periti prima di Grissom, White e Chaffee, ma in incidenti aerei. L’incendio sarebbe stato perfettamente evitabile se solo fossero state rispettate le buone norme di sicurezza e di progettazione, messe in disparte dalla “go fever”, la febbre di andare verso la Luna a qualunque costo. Lo shock per chi lavora alla NASA è talmente potente che per decenni questo disastro sarà ricordato chiamandolo semplicemente e sommessamente The Fire (“l’Incendio”). Tutti sanno cosa s’intende.

Credit: Gianluca Atti.
La tragedia avrà un enorme impatto sull’opinione pubblica mondiale e imporrà un drastico riesame delle procedure NASA e di tutti i materiali usati per la capsula Apollo, che probabilmente contribuirà ad evitare disastri durante i voli spaziali veri e propri. Il rapporto della NASA sul disastro (Report of Apollo 204 Review Board – Findings, Determinations and Recommendations) descriverà senza mezzi termini “carenze di progettazione, fabbricazione, installazione, rilavorazione e controllo qualità... assenza di soluzioni progettuali di protezione antincendio... installazione di componenti non certificati”.

Nel corso di 21 mesi (tanti ne trascorreranno prima del primo volo con equipaggio, Apollo 7), tutti i materiali infiammabili verranno rimpiazzati adottando alternative autoestinguenti, le tute in nylon verranno sostituite con modelli in materiale non infiammabile e resistente alle alte temperature e il portello verrà riprogettato per aprirsi verso l’esterno in meno di dieci secondi. Per le missioni successive verrà usata una miscela di ossigeno e azoto (60/40%) al decollo, sostituita per il resto del volo con ossigeno puro a pressione ridotta (0,33 atm).

Questo incidente resterà nella memoria collettiva di tutti coloro che lavoreranno alla NASA semplicemente come The Fire (l’incendio). Grissom e White erano veterani dello spazio ed eroi nazionali: Grissom, 40 anni, era stato il secondo americano a volare nello spazio, con una capsula monoposto missione Mercury, ed aveva effettuato con John Young il volo inaugurale delle capsule Gemini (con la missione Gemini 3); Ed White, 36 anni, aveva compiuto la prima “passeggiata spaziale” statunitense e la seconda al mondo durante la missione Gemini 4). Roger Chaffee, 31 anni, non aveva ancora volato nello spazio ed era considerato uno dei massimi esperti nei sistemi di comunicazione e manovra del programma Apollo.

Gus Grissom e Roger Chaffee sono sepolti ad Arlington; la tomba di Ed White è a West Point.



Vicino alla Rampa 34 c’è un ricordo poco conosciuto dei tre astronauti: tre panchine con i loro nomi.



Una replica della capsula verrà esposta al Tellus Science Museum di Cartersville, in Georgia; il veicolo originale, dopo le perizie, verrà custodito per decenni dalla NASA al Langley Research Center, in Virginia, in un contenitore ermetico all’interno di un capannone fatiscente. Il 17 febbraio 2007 verrà traslocato in una struttura climatizzata adiacente.

Il capannone che ha custodito Apollo 1 per quarant’anni. Credit: J.L. Pickering, Mark Gray.

Dal 27 gennaio 2017, in occasione del cinquantenario del disastro, i portelli originali della capsula sono stati esposti al pubblico per la prima volta presso il Kennedy Space Center in un grande allestimento commemorativo intitolato Ad Astra per Aspera.

A sinistra, il triplice portello originale di Apollo 1; a destra, il portello semplificato usato per le missioni lunari.
Credit: CollectSpace.

Nei decenni successivi alla tragedia, Scott Grissom, figlio di Gus Grissom, ha sostenuto che l’incidente fu causato intenzionalmente per zittire gli astronauti prima che denunciassero la pericolosità e l’inadeguatezza della capsula Apollo, ma l’idea di insabbiare i difetti della capsula spaziale facendo morire gli astronauti in un rogo che rivela i difetti della capsula stessa non sembra particolarmente logica.

C’è molto materiale d’archivio di questo disastro che raramente viene pubblicato, e che scelgo di non includere qui, perché troppo straziante: ho visto le foto di quello che resta dei corpi degli astronauti, fusi insieme alle loro tute e trovati in posizioni che dimostrano che ciascuno stava diligentemente, fino all’ultimo, seguendo le rispettive procedure d’emergenza; ho le registrazioni delle loro voci che avvisano del divampare delle fiamme, ma confesso che non ho il coraggio di ascoltarle.

L’incendio di Apollo 1 resterà per sempre un drammatico promemoria del fatto che volare nello spazio a bordo di un missile stracarico di propellente altamente infiammabile era, ed è tuttora, straordinariamente pericoloso e richiede un’attenzione suprema ai dettagli e alla valutazione dei rischi. Lo spazio è un maestro severo e inesorabile: per questo fa emergere il meglio dell’umanità.

Foto NASA S67-19771.

Segnalo questi video di tributo a White, Grissom e Chaffee, realizzati da Mark Gray di Spacecraft Films.


Fonti: Klabs.org; NASA; SSA; SSA; CollectSpaceScientific AmericanCollectSpace; Roger Launius, 2014; About.comCollectSpaceCollectSpaceApolloarchive.

2014/01/17

Il Centro Dryden diventa il Centro Neil Armstrong

di Paolo Attivissimo

Il Presidente Obama ha firmato l'atto HR667, rendendolo esecutivo e ribattezzando così lo storico Hugh L. Dryden Flight Research Center californiano, che prenderà il nome di Neil A. Armstrong Flight Research Center. Ne ha dato annuncio formale poco fa il Centro Dryden (ora Armstrong) stesso.

Tuttavia il nome di Hugh Dryden, pioniere dell'aeronautica (fra i tanti meriti, la supervisione dello sviluppo dell'aereo-razzo ipersonico X-15, sul quale volò anche Neil Armstrong), non scompare del tutto dal centro di ricerca aeronautica: il suo Western Aeronautical Test Range è stato ribattezzato Hugh L. Dryden Aeronautical Test Range.

Il video qui sotto riassume e illustrea i sette anni trascorsi da Armstrong come pilota collaudatore presso il centro che ora porta il suo nome. Come si può vedere, l'elenco di aerei sperimentali pilotati da colui che sarebbe poi diventato il primo uomo a camminare sulla Luna è davvero notevole.

2014/01/02

Smontiamo il mito che Neil Armstrong non voleva andare in TV: eccolo con Bob Hope nel 1983 e nel 1969

di Paolo Attivissimo. Questo articolo vi arriva grazie alla donazione per il libro “Luna? Sì, ci siamo andati!" di sigherra* ed è stato corretto dopo la pubblicazione iniziale.

Grazie all'aiuto dei veterani delle missioni Apollo ho scovato questo spezzone di una trasmissione televisiva datata presumibilmente 1983 e realizzata quindi per il venticinquesimo anniversario della fondazione della NASA: mostra Neil Armstrong in studio che chiacchiera e scherza con il celeberrimo comico televisivo Bob Hope e include filmati del tour di Armstrong in Vietnam nel 1969. Il suo sorriso, la sua disponibilità e la serenità del suo atteggiamento smontano completamente il mito secondo il quale Neil Armstrong sarebbe stato schivo e rifiutasse ogni partecipazione televisiva (secondo alcuni lunacomplottisti, perché si vergognava di aver partecipato alla messinscena del finto sbarco).

In realtà Armstrong era semplicemente attento a scegliere le proprie partecipazioni ed era sempre disponibile per qualunque evento ritenesse meritevole. Per esempio, partecipava sempre agli eventi organizzati dalla NASA per gli anniversari delle missioni. Inoltre Bob Hope era non solo un mito della televisione statunitense, ma anche un amico personale di Armstrong, che aveva appunto svolto con lui un tour delle basi militari americane in Vietnam a dicembre del 1969, poco dopo lo sbarco sulla Luna di Apollo 11. Buona visione.


Ed ecco alcun fotogrammi:


È interessante notare, a circa 4:10 minuti dall'inizio, che Neil Armstrong spiega quando formulò la propria storica frase “Un piccolo passo per un uomo, un grande passo per l'umanità”: dice che le parole gli vennero in mente soltanto dopo che lui e Aldrin erano atterrati sulla Luna.