Quando il disastro dell'Apollo 1 uccise l'equipaggio il 27 gennaio 1967, le tre vittime furono sepolte con tutti gli onori e con grande attenzione da parte dei media. Qui accanto vedete la copertina di Life dedicata all'incidente.
I tre uomini di solito vengono ricordati come i primi tre astronauti statunitensi a perire nel corso della propria attività. Ma mentre Gus Grissom e Ed White avevano già volato nello spazio, il terzo membro dell'equipaggio, Roger Chaffee, non lo aveva mai fatto. E l'incendio che li uccise avvenne durante un'esercitazione statica, non durante un tentativo di lancio o un volo spaziale.
Dunque definire “astronauta” Roger Chaffee sembra perlomeno paradossale, soprattutto considerato che anche molti altri suoi colleghi perirono durante l'addestramento per i programmi spaziali statunitensi, eppure non furono classificati e commemorati quanto Chaffee, per il quale prevalsero forse la ragion di stato e la necessità di non discriminare fra i morti in un momento scioccante per l'intera nazione statunitense.
Questo articolo è dedicato principalmente a coloro che furono selezionati come astronauti dai programmi spaziali degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica ma perirono prima di andare nello spazio. Sono i protagonisti dimenticati, le vittime che pagarono il prezzo più alto per raggiungere la nuova frontiera. Di uno di loro si è saputo soltanto anni dopo, quando i segreti del programma spaziale sovietico vennero a galla. Ma c'è spazio per ricordare anche coloro che sono morti durante le imprese spaziali vere e proprie.
Elliot McKay See, Jr.
Ingegnere e pilota della US Navy e pilota collaudatore, fece parte del secondo gruppo di astronauti scelti dalla NASA nel settembre del 1962. Oltre a partecipare all'addestramento come astronauta, fu anche responsabile della supervisione della progettazione e dello sviluppo dei sistemi di guida e navigazione dei veicoli spaziali statunitensi.
Fu scelto come comandante per la missione Gemini 9, ma morì il 28 febbraio 1966 insieme a un altro astronauta designato, Charles Bassett, nell'impatto del jet T-38 che stava pilotando, durante un atterraggio strumentale. Aveva 38 anni.
È ricordato nello Space Mirror Memorial del Kennedy Space Center.
Fonti: Astronauts Memorial Foundation, NASA.
Elliot See, il quarto da sinistra in piedi, posa il primo gennaio 1963 in una foto NASA che ritrae il Gruppo 1 (seduto) e il Gruppo 2 (in piedi) di astronauti. Le didascalie sono aggiunte.
Theodore Cordy Freeman
Capitano dell'USAF, ingegnere aeronautico e pilota collaudatore di velivoli sperimentali, Freeman fece parte del terzo gruppo di astronauti scelto dalla NASA nell'ottobre del 1963.
Morì il 31 ottobre 1964 in un incidente aereo: il T-38 che pilotava fu colpito da un'oca sul parabrezza, frammenti del quale furono ingeriti dai motori. Freeman si eiettò, ma la quota di volo era insufficiente e il paracadute non ebbe il tempo di aprirsi. Aveva 34 anni. Fu il primo astronauta designato statunitense a morire nel corso del programma spaziale.
Fonti: Astronautix.com; NASA; Astronaut Memorial Foundation.
Charles Arthur "Art" Bassett II
Capitano USAF, pilota collaudatore; membro del terzo gruppo di astronauti scelti dalla NASA nell'ottobre del 1963. Fu scelto per la missione Gemini 9 insieme a Elliot See, ma i due morirono il 28 febbraio 1966 nello schianto del loro jet da addestramento T-38, durante l'avvicinamento per un atterraggio strumentale in condizioni di scarsa visibilità. Bassett aveva 34 anni.
È ricordato nello Space Mirror Memorial del Kennedy Space Center.
Foto: NASA ID S64-31443. Fonti: Astronauts Memorial Foundation, NASA.
Clifton Curtis Williams Jr.
Maggiore dei Marines degli Stati Uniti, pilota collaudatore. Membro del terzo gruppo di astronauti selezionati dalla NASA nell'ottobre del 1963. Fu assegnato all'equipaggio di riserva della Gemini 10 e a quello dell'Apollo 9.
Morì il 5 ottobre 1967, all'età di 35 anni, quando un guasto meccanico all'addestratore supersonico T-38 che stava pilotando rese inservibili i comandi. L'aereo iniziò un rollio incontrollato; Williams si eiettò, ma era troppo veloce e troppo basso.
La missione Apollo 12 lo commemorò adottando un'insegna a quattro stelle (una per ciascuno degli astronauti che volò, più una per Williams) e deponendo sulla Luna la sua spilla alata, quella che viene consegnata a ogni astronauta: vi provvide Alan Bean, che era stato suo comandante nell'equipaggio di riserva della missione Gemini 10.
Fonti: Astronautix.com; ArlingtonCemetery.net.
Il Gruppo 3 di astronauti scelti dalla NASA in una foto datata 19 febbraio 1963. Il quarto da sinistra, in piedi, è Theodore Freeman; l'ultimo a destra, in piedi, è Clifton Williams; il terzo da sinistra, seduto, è Charles Bassett; l'ultimo a destra seduto è Roger Chaffee. Fonte: NASA.
Edward Galen Givens Jr.
Maggiore dell'USAF e pilota collaudatore, fu selezionato dalla NASA nell'aprile del 1966, come componente del quinto gruppo di astronauti, composto da 19 uomini. Completò l'addestramento da astronauta ed ebbe il ruolo di membro dell'equipaggio di supporto dell'Apollo 7.
Il gruppo di Givens doveva fornire piloti astronauti per l'Apollo Applications Program, all'epoca concepito come un insieme di dieci allunaggi e 30 voli verso stazioni spaziali orbitanti intorno alla Terra.
Praticamente tutti gli altri membri del gruppo volarono nelle missioni Apollo o Skylab o Shuttle, ma Ed Givens morì in un incidente d'auto il 6 giugno 1967. Aveva 37 anni.
Fonti: NASA; Astronautix.com.
Robert Henry Lawrence, Jr.
Oltre al programma spaziale civile della NASA, negli anni Sessanta vi fu anche un programma spaziale militare, gestito dalla US Air Force, che fra le altre cose creò progetti per stazioni spaziali abitate da utilizzare per osservazioni del territorio dei potenziali nemici (Manned Orbiting Laboratory, MOL).
Le stazioni spaziali militari statunitensi non vennero mai realizzate, a parte il lancio di un simulacro senza equipaggio nel novembre del 1966, perché nel frattempo la tecnologia dei satelliti spia automatici era diventata affidabile quanto una presenza umana, e quindi non vi furono lanci dell'USAF con equipaggi. Ma l'aviazione militare statunitense aveva già selezionato per il progetto MOL 17 astronauti, suddivisi in tre gruppi. Alcuni di loro furono poi trasferiti al programma civile della NASA.
Robert Lawrence, maggiore e pilota collaudatore USAF, fu selezionato nel giugno del 1967 nell'ambito del terzo gruppo di astronauti dell'aviazione statunitense per volare nello spazio con il progetto MOL e divenne così il primo astronauta designato di colore. Contribuì in modo importante al programma spaziale: i suoi voli sperimentali con aerei appositamente modificati furono fondamentali nello sviluppo delle traiettorie di planata ripida senza motore che vennero utilizzate in seguito dallo Space Shuttle.
Ma Lawrence non volò mai nello spazio. Morì l'8 dicembre 1967 nello schianto dell'addestratore supersonico F-104 pilotato dal suo allievo, mentre gli insegnava a compiere un flare, una delle manovre di atterraggio sperimentali usate dagli aerei spaziali dell'epoca, come l'X-15, e che Lawrence aveva sviluppato e padroneggiato. Aveva 31 anni.
Il suo nome è inciso nello Space Mirror Memorial al Kennedy Space Center, ma non è fra quelli lasciati sulla Luna su una targa commemorativa dagli astronauti dell'Apollo 15 nel 1971. Uno dei motivi è che il Pentagono usa la designazione di “astronauta” soltanto per chi ha effettivamente volato a oltre 50 miglia (80 km) di quota: formalmente non basta essere selezionati per meritarsi la qualifica. L'insegna della sua missione fu portata nello spazio a bordo dello shuttle Atlantis nel corso della missione STS-86.
Fonti: Spacefacts.de; The Unsung Astronaut, di James Oberg.
Michael James Adams
Maggiore USAF e pilota collaudatore, Mike Adams fu selezionato come astronauta per il progetto militare MOL. Il progetto fu annullato prima che ne iniziassero i lanci, ma Adams divenne comunque un astronauta a pieno titolo, perché come collaudatore dell'aereo-razzo ipersonico sperimentale X-15 (foto qui sotto) raggiunse la quota di 266.000 piedi (81 km) il 15 novembre 1967, qualificandosi dunque come astronauta anche secondo i criteri USAF, più severi di quelli NASA.
Questo volo, però, gli fu fatale: un guasto agli impianti elettrici dell'X-15 e un principio di disorientamento fecero assumere al velivolo un assetto errato che indusse uno spin a Mach 5. Sottoposta a sollecitazioni insostenibili, la struttura dell'aereo si disintegrò, uccidendolo. Fu l'unica vittima del programma sperimentale X-15, che vide fra i suoi piloti anche Neil Armstrong. Molti dei record stabiliti dall'X-15 sono tuttora imbattuti.
Il nome di Adams è riportato sullo Space Mirror Memorial al Kennedy Space Center.
Fonti: Astronautix.com; Spacefacts.de.
Valentin Bondarenko
Valentin Bondarenko era un tenente pilota di caccia dell'aviazione sovietica. Il 28 aprile 1960 fu scelto per il primo gruppo di 29 cosmonauti e iniziò il 31 maggio successivo l'addestramento per il volo sulla Vostok 1: lo stesso veicolo sul quale Yuri Gagarin fece il primo volo umano orbitale della storia un anno dopo.
Ma il 23 marzo 1961, al termine del terzo giorno di un esperimento di due settimane in una camera pressurizzata presso l'Istituto di Studi Biomedici di Mosca, Bondarenko si tolse dal corpo dei sensori di monitoraggio delle funzioni vitali e si pulì con un batuffolo di cotone impregnato d'alcool. Gettò distrattamente il batuffolo, che cadde su una piastra termica elettrica e prese fuoco, incendiando anche la tuta di lana di Bondarenko. In un'atmosfera di ossigeno puro, le fiamme divamparono violentissime.
Ci volle mezz'ora per aprire la porta della camera. Bondarenko riportò ustioni di terzo grado su tutto il corpo tranne i piedi, dove gli stivali di volo lo avevano in parte protetto. Morì in ospedale dopo 16 ore di agonia, a 24 anni. Accanto a lui, incaricato di seguirne le condizioni e di riferire ai superiori, c'era Yuri Gagarin. Tre settimane dopo, Gagarin volò nello spazio ed entrò nei libri di storia, presumibilmente al posto di Valentin Bondarenko.
Della tragedia di Bondarenko non si seppe nulla, neppure in Occidente, fino al 1980. La sua immagine fu cancellata dalle fotografie ufficiali sovietiche dei primi sei cosmonauti. Il celebre cosmonauta Leonov, interrogato sulle censure delle fotografie e sulle dicerie riguardanti cosmonauti periti in segreto, mentì ripetutamente ai giornalisti occidentali. La sua morte fu rivelata in Russia soltanto nel 1986, ventisette anni dopo, da un articolo di Yaroslav Golovanov su Izvestia. Nessun veicolo sovietico usò mai atmosfere di ossigeno puro.
Il Presidio del Soviet Supremo gli conferì l'Ordine della Stella Rossa il 17 giugno 1961 e il ministro della difesa sovietico diede ordini segreti affinché alla sua famiglia venisse "fornito tutto il necessario, come si confà alla famiglia di un cosmonauta". Sul lato nascosto della Luna c'è un cratere che porta il suo nome.
Fonti: Predictions of Trouble, NASA; Astronautix.com; Spacefacts.de; Uncovering Soviet Disasters, di James Oberg (1988, aggiornato nel 1998); Cosmonauta numero 1, di Yaroslav Golovanov (in russo).
Michael P. Anderson, David M. Brown, Kalpana Chawla, Laurel B. Clark, Rick D. Husband, William C. McCool, Ilan Ramon
I sette componenti dell'equipaggio dello Shuttle Columbia perirono l'1 febbraio 2003 durante il rientro in atmosfera.
In fase di lancio, un frammento di rivestimento isolante del serbatoio esterno dello Shuttle aveva colpito e danneggiato la copertura termica del bordo d'attacco dell'ala del veicolo. L'aria rovente del rientro penetrò all'interno dell'ala, fondendone in parte la struttura, che si spezzò, disintegrando lo Shuttle e uccidendo all'istante l'intero equipaggio mentre sorvolava gli Stati Uniti a diciotto volte la velocità del suono e a circa 60 chilometri di quota.
Gregory Jarvis, Christa McAuliffe, Ronald McNair, Ellison Onizuka, Judith Resnick, Francis "Dick" Scobee, Michael J. Smith
L'intero equipaggio dello Shuttle Challenger morì durante il decollo il 28 gennaio 1986.
Un minuto e tredici secondi dopo che il loro veicolo spaziale aveva lasciato la rampa di lancio, una delle guarnizioni dei razzi laterali a propellente solido (booster) si ruppe a causa del freddo intenso della mattina, lasciando sfuggire una lingua di fuoco che colpì il serbatoio esterno contenente idrogeno e ossigeno liquidi, che deflagrarono mentre il veicolo si trovava a circa 15 chilometri di quota.
Le sollecitazioni aerodinamiche disintegrarono lo Shuttle, ma la cabina rimase pressoché intatta, proteggendo gli astronauti (privi di mezzi di salvataggio utilizzabili) fino all'impatto violentissimo e letale con l'oceano a oltre 330 chilometri l'ora.
Georgi Dobrovolski, Viktor Patsayev, Vladislav Volkov
I tre cosmonauti sovietici avevano completato con successo la prima visita alla prima stazione spaziale della storia dell'astronautica, la Salyut 1, e stavano iniziando le manovre di rientro a Terra, il 30 giugno 1971, quando la cabina della loro Soyuz 11 si depressurizzò in pochi secondi, a causa di una valvola danneggiata, mentre il veicolo era nello spazio a 168 chilometri di quota.
La valvola era inaccessibile e i cosmonauti non indossavano una tuta pressurizzata a causa delle dimensioni anguste della capsula, per cui morirono per carenza d'aria. Dobrovolski aveva 43 anni; Patsayev ne aveva 38; Volkov 35. Le loro ceneri si trovano al Cremlino.
Vladimir Komarov
La Soyuz 1 di Komarov partì dal cosmodromo di Baikonur il 23 aprile 1967 e manifestò problemi subito dopo il decollo. Uno dei suoi pannelli solari non si aprì, producendo una carenza d'energia elettrica a bordo e rendendo difficili le manovre di correzione d'assetto. Dopo tredici orbite il sistema di stabilizzazione automatico era completamente fuori uso e quello manuale funzionava solo parzialmente.
Fu deciso di interrompere la missione, e cinque orbite più tardi fu avviato il rientro nell'atmosfera. Il paracadute-guida si aprì regolarmente, ma quello primario non fece altrettanto a causa di un sensore di pressione difettoso. Komarov aprì il paracadute di riserva, che però s'impigliò in quello di guida che non si era sganciato. Di conseguenza la discesa della capsula fu frenata solo parzialmente e la Soyuz colpì il suolo a circa 140 chilometri l'ora, uccidendo Komarov all'istante.
9 commenti:
Grazie Paolo, molto interessante. Durante un viaggio a Mosca, ho avuto il piacere di assistere ad una conferenza tenuta da un cosmonauta (di cui, shame on me, non ricordo il nome).
Oltre a raccontarci le sue emozioni ci ha anche svelato alcuni retroscena, tipo che lui non ha mai avuto accesso al registro con la dose di radiazione ionizzanti assorbita. Alla domanda: quanto dose ho preso? la risposta era: non troppa, non ti preoccupare. Lavoro nel campo delle radiazioni e so cosa vuol dire una frase del genere...
Mi sa che ci sono parecchi aspetti misteriori nei vari programmi spaziali.
Onore eterno a voi, Uomini delle stelle...
Nei fulgidi e spettacolari panorami cosmici che i nostri pronipoti avranno modo di vedere, tra miliardi di stelle qualcuna riverbererà come una piccola lacrima.
E anche nel freddo vuoto cosmico una nota dolcissima porterà negli spazi e nei tempi il vostro nome.
Vi ricordiamo come fragili uomini, sognatori ed eroi: invece siete voi le solide e robuste fondamenta di questa meravigliosa avventura, appena iniziata.
Da qualunque parte arriveremo, sarà in vostro nome.
Ciao Paolo, complimenti per l'articolo.
Mi piacerebbe se tu trattassi anche il caso dei fratelli Judica Cordiglia e delle loro intercettazioni. Non ho un'idea chiarissima e non sono riuscito a saperne più di tanto cercando in rete.
Grazie!
Onore al merito, alla dedizione, al coraggio e alla cultura.
PS C'è un refuso in questa frase, due ma un po' troppo vicini "Ma Lawrence non volò mai nello spazio. Ma morì l'8 dicembre 1967 [...]". Cancella pure il post scriptum.
The Drakkar,
grazie per la segnalazione. Ho corretto.
Non possiamo editare i commenti :-)
Mi piacerebbe se tu trattassi anche il caso dei fratelli Judica Cordiglia e delle loro intercettazioni.
Sto raccogliendo materiale e pubblicherò una prim bozza non appena ho raggiunto un risultato accettabile.
Leggo solo oggi. Non mi torna questa parte dell'articolo:
"mentre gli insegnava a compiere un flare, una delle pericolose manovre di atterraggio sperimentali "
In realtà la flare è una manovra assolutamente convenzionale utilizzata da praticamente tutti gli aerei e spesso anche dagli elicotteri, per atterrare. È la manovra necessaria per raccordare la traiettoria di discesa, più o meno ripida, con quella pressoché orizzontale con cui si tocca la pista diminuendo il rateo di discesa e smaltendo buona parte dell'energia cinetica. È una manovra nota dagli albori dell'aviazione e quindi di per se non poteva essere sperimentale e di per se non particolarmente pericolosa. Potevano forse esserlo le specifiche prove che stavano facendo.
Bell'articolo... Mi ricordo di aver visto un documentario molto interessante (in italiano e credo su youtube) che trattava proprio di questi incidenti, da quelli mortali a quelli a lieto fine (vedi kittinger)... QUALCUNO MI PUÒ AIUTARE A RECUPERARE QUESTO DOC?NE AVETE NOTIZIA?
Grazie!
Serj,
no, mi spiace, non ne so nulla.
Posta un commento