2009/01/21

Perché nessuno ha più messo piede sulla Luna da quel lontano 1969?

di Paolo Attivissimo

In realtà le missioni lunari terminarono nel dicembre 1972 con l'Apollo 17, non nel 1969. Ne furono completate sei, che portarono sulla Luna dodici astronauti: Apollo 11, 12, 14, 15, 16 e 17 (l'Apollo 13 ebbe un incidente che le impedì di sbarcare sulla Luna).

Ognuna di queste missioni raggiunse obiettivi progressivamente più ambiziosi: dal "mordi e fuggi" dell'Apollo 11 (una singola passeggiata intorno al modulo lunare di due ore e 36 minuti in tutto, 21,5 kg di campioni di roccia e 21 ore e mezza di permanenza sulla Luna) all'esplorazione estesa dell'Apollo 17 (con un geologo a bordo, tre passeggiate per un totale di 22 ore, l'uso di una jeep elettrica per spostarsi a largo raggio, 110 kg di campioni di roccia, 3 giorni di permanenza sulla Luna; la foto qui sopra è un dettaglio della AS17-134-20378).

Da allora nessuno ha ritentato l'impresa perché è estremamente costosa ed è altamente rischiosa, ed è venuta a mancare la motivazione politica (battere il regime sovietico avversario e riconquistare prestigio tecnologico) che aveva alimentato la corsa spaziale negli anni Cinquanta e Sessanta e aveva quindi spinto i politici a finanziare le missioni.

Inoltre, essendoci di mezzo l'interesse strategico del paese, le vite degli astronauti erano sacrificabili, e loro lo sapevano, per cui il progetto Apollo poté accettare molti compromessi tecnici che ne aumentavano le possibilità di fallimento. Per esempio, il modulo lunare aveva un solo motore per il decollo dalla Luna; se quello falliva, gli astronauti erano spacciati.

Non si spendono miliardi e rischiano vite soltanto per fare contenti i complottisti. A meno che, naturalmente, paghino loro e si offrano come passeggeri. Ci deve essere un motivo molto forte per rischiare e spendere pur di andare sulla Luna, e per ora, passato il prestigio politico del primo sbarco, questo motivo non c'è. Certo, si parla di ritornarvi nel 2020, ma con calma, con tecnologie molto più sicure e con mezzi molto meno costosi, per ragioni scientifiche e non strategiche; non c'è più l'imperativo di battere il nemico.

2009/01/20

Cosa sono le luci riflesse nel casco? Sono riflettori del set?

di Paolo Attivissimo. L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

Una delle affermazioni ricorrenti presentate dai lunacomplottisti è che in alcune foto si vedono dei riflessi sospetti sul casco di un astronauta: secondo loro, sono le luci del set cinematografico nel quale sono state falsificate le immagini degli sbarchi lunari.

È un'affermazione fatta, per esempio, dal tedesco Gernot Geise (qui il suo sito) nel programma La storia siamo noi di Giovanni Minoli, trasmesso dalla Rai il 22 agosto 2006, dal quale è tratto questo spezzone:


Geise dice che "in alcune foto è possibile vedere dei puntini luminosi simili a riflettori. C'è addirittura una foto in cui la visiera del casco di un astronauta riflette un'intera fila di riflettori".

Esaminiamo la fotografia che viene mostrata (immagine qui accanto): innanzi tutto, come è prassi abituale dei lunacomplottisti, non ci viene dato nessuna informazione sulla foto. Sarebbe facile farlo, dato che ogni singola fotografia (anche quelle brutte, sovraesposte e sfocate) è catalogata e pubblicata negli archivi NASA su Internet. Invece ci tocca arrivare a identificarla per deduzione, quando sarebbe bastato indicarne il numero identificativo.

Una paziente ricerca in archivio permette di scoprire che si tratta di un'immagine della missione Apollo 12, e specificamente di un particolare della foto classificata come AS12-49-7281, scattata durante la seconda passeggiata lunare effettuata durante quella missione. L'astronauta ritratto è Alan Bean; quello riflesso nella visiera è Charles "Pete" Conrad. L'immagine originale è consultabile presso la Apollo Image Gallery. Ecco la foto completa:



Qui sotto si può vedere l'inquadratura di dettaglio corrispondente a quanto mostrato da La storia siamo noi: già si nota la pessima qualità dell'immagine utilizzata dal documentario rispetto a quest'originale.



Ingrandendo ulteriormente, si scopre che i "riflettori" non hanno affatto né la forma né la disposizione dei riflettori. Nella versione di scarsa qualità sembravano luci circolari disposte a distanze regolari, ma l'ingrandimento dell'originale rivela la loro reale natura altamente irregolare:



La spiegazione è in realtà molto semplice: si tratta di riflessi del Sole prodotti dai graffi superficiali sulle visiere e dalle riflessioni interne sui vari strati del casco. I graffi sono prodotti per esempio dall'abrasione della polvere depositata sulla visiera dalle mani guantate degli astronauti nell'azionare i parasole laterali.

La polvere lunare, non subendo l'erosione prodotta dall'acqua e dal vento, è molto spigolosa ed agisce come una sorta di carta vetrata naturale. I resoconti delle missioni degli astronauti citano spesso i problemi di graffi e intasamenti dovuti alla natura particolare della polvere. Altri esempio di foto che mostrano graffi con i relativi riflessi sono AS12-48-7071, AS12-48-7074, AS12-48-7135, AS12-48-7136 (tutte dell'Apollo 12) e AS14-66-9231 (Apollo 14).

A titolo di confronto, ecco il genere di riflessi prodotto dalle visiere sulla Terra durante l'addestramento degli astronauti Apollo, in un fotogramma tratto dai filmati d'epoca presentati nel documentario When We Left Earth.



Riflessi irregolari di questo genere si formano su qualunque superficie ricurva leggermente abrasa, come mostra questo fotogramma da un video della BBC che mette in scena una futura missione umana su Marte:


Un altro esempio di quest'effetto è visibile in questa foto che ho scattato a una sfera metallica che fa parte di un modello in scala del Sistema Solare sul Monte Generoso, in Canton Ticino. C'è una sola fonte luminosa (il Sole), eppure si forma una serie irregolare di punti luminosi.



Le abrasioni delle visiere sono ben visibili anche nelle foto scattate dagli astronauti a bordo dello Shuttle e della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) in tempi ben più recenti, come questa, tratta dalla missione Shuttle STS-118 di agosto 2007 e catalogata come ISS015-E-22561, che ritrae l'astronauta Clay Anderson durante la costruzione della Stazione Spaziale Internazionale (la foto è cliccabile per ingrandirla):



Gli stessi graffi si notano anche sulla visiera dell'italiano Luca Parmitano, in questa foto scattata da Parmitano stesso all'esterno della ISS a luglio del 2013:

2008/12/31

Nuovo rapporto sull'incidente del Columbia

di Paolo Attivissimo

Ieri la NASA ha pubblicato un rapporto di 400 pagine (scaricabile qui) di approfondimento sul disastro del Columbia, che si disintegrò durante il rientro nell'atmosfera, uccidendo i sette membri dell'equipaggio, l'1 febbraio 2003.

La causa fu un impatto, avvenuto al decollo, con un frammento di schiuma isolante staccatosi dal serbatoio esterno di carburante: il frammento ruppe la protezione termica del bordo dell'ala, producendo un varco dal quale i gas roventi del rientro penetrarono nella struttura dell'ala, fondendola dall'interno fino a distruggerla.

Il rapporto (parzialmente censurato per quanto riguarda i dettagli personali dei resti degli astronauti) documenta che l'equipaggio perì per l'improvvisa perdita d'ossigeno in cabina e per gli impatti traumatici dovuti al distacco della cabina dal resto del veicolo, come già appurato dalla prima indagine svolta subito dopo il disastro, ma aggiunge che i piloti si resero conto dei primi sintomi di cedimento della struttura circa un minuto prima della disintegrazione del velivolo e tentarono di rimediarvi fino all'ultimo istante, dimostrando una determinazione incredibile.

La scelta di pubblicare il rapporto in questi giorni è stata fatta per rispettare i familiari dell'equipaggio del Columbia, dopo Natale ma mentre i bambini sono a casa da scuola, in modo che possano discuterne in privato con la famiglia.

Il rapporto indica che gli astronauti sopravvissero alla frammentazione iniziale del Columbia, quando il modulo abitato del veicolo, contenente le due cabine dell'equipaggio, si staccò praticamente integro dal resto della fusoliera e restò intero per circa 38 secondi, precipitando per 20 chilometri, privo di energia e senza contatto radio. La disgregazione durò altri 24 secondi circa. Nell'immagine qui sotto, i resti della cabina sono indicati dal circolo giallo.



Le cabine, però, si depressurizzarono così rapidamente che l'equipaggio perse conoscenza prima di poter attivare le tute pressurizzate. E' presumibile che nessuno abbia ripreso conoscenza. In ogni caso, la rotazione incontrollata della struttura sottopose i corpi degli astronauti a traumi letali, scuotendone violentemente il tronco e la testa.

Il rapporto sembra indicare, in modo piuttosto sorprendente, che l'equipaggio avrebbe potuto sopravvivere ai traumi della disgregazione del veicolo se fosse stato protetto dai suoi primi effetti fisici e termici mediante una struttura più resistente e sistemi di ritenzione più efficaci, che bloccassero il corpo contro gli scuotimenti (casco imbottito su misura e cinture di sicurezza integrali), e da tute sigillate e pressurizzate. Tuttavia queste misure sarebbero in contrasto con le procedure di rientro dello Shuttle, che prevedono che l'equipaggio debba essere sostanzialmente libero di muoversi in cabina e non sia chiuso nelle tute pressurizzate.

...crew survival under environmental circumstances seen in this mishap could be possible given the appropriate level of physiological and environmental protection.


Il rapporto contribuisce anche a sfatare il mito della disintegrazione totale di un veicolo al rientro nell'atmosfera. Molti resti della cabina, nonché i resti degli astronauti, furono recuperati intatti e privi di segni di combustione o surriscaldamento. L'orologio da polso portato in orbita dall'astronauta David Brown come regalo di compleanno per un ingegnere del centro spaziale Kennedy fu recuperato quasi integro, con le lancette bloccate alle 9:06.

Qui sotto sono mostrate alcune immagini di resti del velivolo: un frammento di pannello della fusoliera e una bombola d'ossigeno. Il rapporto contiene molte altre immagini dei resti insieme a fotogrammi dell'ultimo video ripreso dagli astronauti durante il rientro.






Ulteriori dettagli sono pubblicati in inglese da SpaceflightNow. Una dettagliatissima FAQ preparata dagli specialisti è disponibile in inglese qui.

2008/12/26

Il Press Kit dell'Apollo 8

di Paolo Attivissimo. L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

Presso Gizmodo è disponibile una scansione (parziale ma molto ricca) del Press Kit di 101 pagine affidato ai giornalisti per annunciare la missione, che era particolarmente importante perché era stata modificata all'ultimo momento per renderla molto più ambiziosa e pericolosa. Un PDF completo è disponibile presso gli archivi Nasa.

Il Press Kit elenca il numero impressionante di componenti vitali e di procedure che venivano collaudate per la prima volta, dai motori ai sistemi radio alle procedure per evitare che la parte esposta al sole del veicolo si surriscaldasse mentre la parte in ombra gelava.

Per i lunacomplottisti che contestano che le radiazioni delle fasce di Van Allen avrebbero dovuto friggere gli astronauti, questo press kit d'epoca permette di far notare che (ovviamente) la NASA si era posta il problema e ne aveva tenuto conto nella progettazione dei veicoli. A pagina 6 del Press Kit si legge infatti:

Solar radiation and radiation in the Van Allen belt around the Earth present no hazard to the crew of Apollo 8 in the thick-skinned command module. The anticipated dosages are less than one rad per man, well below that of a thorough chest X-ray series.


2008/12/24

40 anni fa, la prima circumnavigazione della Luna: Apollo 8

di Paolo Attivissimo

Il 24 dicembre 1968, Jim Lovell, William Anders e Frank Borman (foto qui accanto, tratta da Life) furono le prime tre persone a circumnavigare la Luna. Furono anche i primi astronauti a lasciare l'orbita terrestre, a scorgere con i propri occhi la faccia della Luna che non è mai visibile da Terra e a vedere la Terra intera come una sfera sospesa nel cielo. Lo fecero in un veicolo, il Saturno 5, che non aveva mai volato prima con un carico umano.

Non avevano a bordo il modulo lunare, che non era ancora pronto; al suo posto c'era un simulacro come zavorra, e quindi non avevano neanche la possibilità di usarlo come scialuppa e propulsore d'emergenza, come avverrà per l'Apollo 13. Ma la CIA aveva saputo che i sovietici stavano tentando di circumnavigare la Luna per primi a sorpresa, e gli Stati Uniti non volevano farsi battere anche stavolta. Il profilo originale della missione (orbita terrestre con prova degli apparati) fu cambiato di corsa.

Alla partenza, Charles Lindbergh era lì a vederli decollare consumando in un secondo dieci volte il carburante che lui aveva usato per la sua celebre trasvolata in solitario dell'Oceano Atlantico. Nel giro di 65 anni, l'umanità era passata dal timido balzo di 40 metri dei fratelli Wright all'inserimento in orbita lunare.

Ma il più grande lascito di questa missione non fu il trionfo tecnologico di una missione ad alto rischio e funestata da vari incidenti ed errori (compresa una cancellazione involontaria della memoria del computer di navigazione e una crisi di diarrea che riempì la capsula di globuli fluttuanti poco raccomandabili), alla faccia di chi dice che le missioni lunari furono troppo perfette per essere vere. Fu questa fotografia a colori della Terra vista dalla Luna, scattata la vigilia di Natale, a lasciare una traccia permanente nella cultura dell'epoca e di oggi. Più di ogni altra immagine o dato tecnico, questa prima visione della Terra come un'unica, delicata isola condivisa rese visceralmente la bellezza e la fragilità del nostro mondo e divenne un'immagine simbolo del nascente movimento ambientalista.



Ne trovate una versione ad altissima risoluzione qui.

In quella stessa missione, i tre astronauti effettuarono dalla Luna una trasmissione televisiva (scaricabile qui), all'epoca la più vista della storia, nella quale mostrarono la superficie della Luna in diretta e lessero un passo della Genesi (una scelta controversa descritta qui). L'immagine fotografica, essendo su pellicola, fu pubblicata soltanto dopo il ritorno degli astronauti.

A quarant'anni di distanza, quel regalo viene ripresentato. Cerchiamo di non dimenticarne la bellezza e il valore. Buon Natale.

2008/11/26

Repubblica: lo sbarco sulla Luna è fra "i casi ancora sospesi"

di Paolo Attivissimo

Dall'inserto Affari e Finanza di Repubblica, 24 novembre 2008, articolo di Ilaria Fusco:

Ci sono infine i casi ancora sospesi, in cui non si capisce da che parte stia la bufala. Sul sito www.astrofilitrentini.it si legge una lunga serie di spiegazioni per cui lo sbarco sulla Luna sarebbe una messinscena: senza una protezione spessa due metri gli astronauti sarebbero bruciati a causa delle radiazioni presenti sulla Luna, nelle foto non appare mai un cielo stellato, le ombre divergono come generate da luci artificiali, la bandiera sembra mossa da un vento che non esiste, il Lem atterra senza polvere...Chissà la verità da che parte sta.


Il sito Astrofilitrentini.it, naturalmente, non contiene nulla del genere, ma ospita un articolo che racconta le teorie lunacomplottiste e poi le sbufala nel finale. Le FAQ pubblicate da Astrofilitrentini.it sono inoltre chiare nel raccontare come dati di fatto le missioni lunari Apollo.

2008/11/02

Neil Armstrong dona documenti privati alla Purdue University

Yahoo News segnala che Neil Armstrong, il primo uomo a mettere piede sulla Luna, ha acconsentito a donare i propri documenti personali, a partire dall'inizio della sua carriera aeronautica, alla Purdue University, l'università presso la quale si laureò.

Alcune scatole contenenti le sue carte sono già arrivate alla Purdue e saranno a disposizione dei ricercatori, offrendo una nuova risorsa estremamente preziosa. "Nessuno ha potuto svolgere ricerche o studiare queste carte finora", ha dichiarato Sammie Morris, assistant professor di scienze bibliotecarie e direttore degli archivi e delle collezioni speciali della Purdue.

Inoltre James R. Hansen, autore del libro "First Man: The Life of Neil A. Armstrong" (2005), donerà 55 ore di interviste personali registrate insieme ad Armstrong.