"Le pellicole fotografiche sono piuttosto delicate e, se esposte ad un calore eccessivo, si deteriorano con facilità: perdono di contrasto e, nel caso di materiale a colori, anche di equilibrio cromatico. Su questo tema l'autorevole rivista fotografia REFLEX, nel mese di agosto 1995, ha pubblicato un lungo articolo sui deterioramenti introdotti dall'esposizione dei rullini di pellicola fotografica ad un calore eccessivo. Nell'articolo si legge: 'Tutte le pellicole professionali vanno conservate in frigorifero, proprio per poterne mantenere inalterate le caratteristiche chimiche'..."
"Le macchine fotografiche [sulla Luna] passavano da una temperatura di +100° nelle zone esposte alla luce solare diretta, ai -100° delle zone d'ombra. Immaginate quale stress termico avrebbe subito un materiale tanto delicato come un'emulsione fotografica..."
– Bill Kaysing, Non siamo mai andati sulla Luna, pag. 53-54.
Stando a quanto scritto da Kaysing, insomma, le fotografie lunari sarebbero state impossibili. Ma l'analisi dei fatti dimostra che questo autore lunacomplottista è scivolato su un errore scientifico grossolano.
Innanzi tutto, le temperature citate sono quelle massime e minime, che si raggiungono rispettivamente dopo il mezzogiorno lunare (quindi dopo almeno sette giorni terrestri di esposizione al sole) e appena prima dell'alba (dopo quattordici giorni terrestri di buio). Gli sbarchi lunari avvennero tutti poco dopo l'alba lunare, quando le temperature erano lontane da questi estremi. L'elevazione massima del Sole sull'orizzonte fu di 48,7° al termine della terza escursione dell'Apollo 16. Nella stessa missione furono rilevate temperature di 57°C al sole e -100°C all'ombra.
In secondo luogo, quei valori si riferiscono alla temperatura del suolo lunare. Ma sulla Luna non c'è un'atmosfera significativa che possa essere riscaldata dal suolo, per cui non c'è modo di trasmettere calore dal suolo alla pellicola. È lo stesso principio del vuoto isolante che funziona così bene nei thermos. Nel vuoto, il calore non si propaga per conduzione e/o convezione, come sulla Terra, ma soltanto per irradiazione. Non c'è aria calda che scaldi gli oggetti per contatto. Di conseguenza, la temperatura al suolo è praticamente irrilevante per la pellicola, e parlare di questi valori estremi di temperatura in relazione alle pellicole è ingannevole ed è un errore dilettantesco.
Inoltre sulla Luna un oggetto esposto al sole riceve praticamente la stessa quantità di energia termica che riceve sulla Terra in alta montagna in una giornata limpida, perché l'irradiazione dipende dalla distanza dalla fonte di calore, e la Luna e la Terra sono sostanzialmente alla stessa distanza dal Sole. Non c'è nulla di magicamente incendiario nella luce solare che colpisce la Luna: è la stessa che riceviamo qui sul nostro pianeta.
In altre parole, una pellicola esposta al sole sulla Luna subisce lo stesso tipo di sollecitazioni termiche che subisce sulla Terra in una giornata di sole intenso in alta montagna. E tutti sappiamo che persino i turisti riescono a fare foto in montagna, e persino nel caldo dei tropici o del deserto, senza che si squagli la pellicola o vengano fuori colori orripilanti.
Si può obiettare che sulla Luna il lato esposto al sole della fotocamera si scalda fortemente, mentre quello in ombra si raffredda altrettanto intensamente; ma occorre tenere conto del fatto che questi processi non sono repentini, anche perché fra fotocamera e pellicola c'è poco trasporto di calore: infatti dentro la fotocamera c'è il vuoto, proprio come in un thermos. Il calore e il freddo si propagano dal corpo macchina verso la pellicola e viceversa per conduzione soltanto nelle poche zone di contatto fra corpo e pellicola.
Del resto, se si sostiene che è impossibile che una pellicola sopporti le condizioni di vuoto e di temperatura sulla Luna, allora si deve sostenere che tutte le foto mai fatte nello spazio durante le passeggiate spaziali russe e americane sono dei falsi, perché non ci sono differenze, né di temperatura né di vuoto né di esposizione al sole, fra le condizioni sulla Luna e quelle in orbita intorno alla Terra.
Inoltre, dato che alla NASA non erano stupidi, le fotocamere lunari (delle Hasselblad) erano state trattate appositamente in modo da avere superfici riflettenti, anziché quelle classiche nere. Queste superfici riflettenti respingevano gran parte del calore ricevuto dal sole e mediamente tenevano la pellicola a una temperatura ottimale. Si può vedere un esempio di questo trattamento superficiale delle fotocamere nelle immagini qui sotto.
Una Hasselblad EDC del tipo usato per le missioni lunari Apollo. Immagine tratta da Hasselblad.com.
Si può poi obiettare, come notato sopra, che la pellicola chimica ha una gamma di temperature piuttosto ristretta, tanto che i fotografi professionisti stanno bene attenti a tenere le pellicole al caldo o al fresco secondo necessità. Ma questa è una gamma ottimale, specificata per ottenere i risultati cromatici migliori: non vuol dire che al di fuori della gamma la pellicola si rompe o si liquefa.
Nel caso delle foto lunari, oltretutto, non fu impiegata una pellicola qualsiasi: fu adottata una pellicola da 70 mm della Kodak, concepita appositamente per le ricognizioni fotografiche in alta quota, nelle quali doveva sopportare temperature fino a -40°C. La pellicola aveva una base sottile di poliestere (Estar) fatta su misura, che fonde a circa 260°C, ed usava un'emulsione Ektachrome in grado di lavorare su un'ampia gamma di temperature.
Fra l'altro, il supporto sottile forniva altri vantaggi: permetteva a ciascun caricatore di contenere 160 pose a colori e 200 in bianco e nero e garantiva buona stabilità dimensionale (la pellicola si deforma di meno). Questo tipo di supporto era inoltre necessario per le missioni spaziali, perché nel vuoto il poliestere tende a rilasciare meno vapori solventi, potenzialmente dannosi, rispetto ai normali supporti a base di cellulosa (Photography Equipment and Techniques, pag. 116-117).
Per le riprese a colori furono utilizzate pellicole invertibili, ossia pellicole che possono essere sviluppate in modo da produrre un'immagine positiva (con i colori corretti). La scelta può sembrare strana, dato che la pellicola per negativi ha una maggiore tolleranza alle condizioni di luce difficili e alle sovra e sottoesposizioni, ma fu dettata dal fatto che usando dei negativi sarebbero sorti problemi di fedeltà dei colori. Nelle foto scattate nello spazio o sulla Luna, infatti, sarebbe mancato spesso qualunque oggetto familiare da usare come riferimento per i colori, come si fa sulla Terra, e quindi i tecnici dei laboratori fotografici non avrebbero saputo come regolare il procedimento di stampa dei negativi per ottenere i colori reali. La pellicola per diapositive non ha questo problema.
La pellicola da 70 mm utilizzata nelle Hasselblad lunari fu, secondo i documenti (6) e (7), dei seguenti tipi:
- SO-368: Kodak Ektachrome MS invertibile a colori, ASA 64
- SO-168: Kodak Ektachrome EF invertibile a colori, ASA 160
- SO-164 o 3400: Kodak Panatomic-X, in bianco e nero, ASA 80
Le pellicole di tipo SO-168 esposte in interni, identificate dalla sigla CIN (Color Interior), furono esposte e sviluppate a 1000 ASA.
L'errore dei lunacomplottisti è, ancora una volta, quello di sottovalutare la competenza tecnica degli esperti di settore, che a queste e mille altre cose hanno ovviamente pensato proprio perché esperti, e di misurare gli altri con il metro delle proprie inadeguatezze.
Fonti:
(1) Astronaut Still Photography During Apollo
(2) Photography Equipment and Techniques: A Survey of NASA Developments
(3) Apollo Missions Photography
(4) Apollo 11 Mission Photography
(5) Apollo 11 photography 70-mm, 16-mm, and 35-mm index
(6) Apollo 11 Lunar Photography (NSSDC Report 70-06)
(7) Apollo 12 Photography Index (NASA CR-197662)
18 commenti:
Questo era l'esposimetro.
L'ho fotografato al museo dello spazio a Washington (fantastico).
Nella seconda frase virgolettata di Bill Kaysing, c'è scritto due volte -100° (meno cento gradi), ma il primo valore deve essere +100° (più cento gradi).
Janez,
grazie, ho corretto.
Rudy,
grazie del contributo. Foto bellissima!
Hammer: l'errore segnalato da Janes è stato corretto in modo errato. Ora la frase riporta "passavano da una temperatura di -100° nelle zone esposte alla luce solare diretta, ai +100° delle zone d'ombra".
Immagino sia l'opposto, +100 nelle zone esposte al sole e -100 nelle zone d'ombra.
Giusto, grazie.
...non devo più fare correzioni prima di pranzo :-)
"dato che alla NASA non erano stupidi"
Ma perché agli stupidi piace pensare che lo fossero?
LOL
Ma perché agli stupidi piace pensare che lo fossero?
Perché così non devono porsi il problema che esiste della gente molto, molto più intelligente di loro.
@Paolo, refuso:
"per cui non c'è modo di trasmettere di calore dal suolo alla pellicola.
Saluti.
Refuso sistemato, grazie!
interessante l'esposimetro
non ci sono dettagli tecnici MA c'è un particolare che risulta molto interessante, proprio riguardo all'esposizione delle foto e la mancanza di stelle
e scommetto che i vari contestatori delle "foto impossibili" che si spacciano per esperti di fotografia non lo individueranno neanche stando a guardare quella foto una giornata
adesso mi sorge il dubbio sulla utilità del polarizzatore sulla fotocamera.
sulla luna non c'e' atmosfera che puo polarizzare la luce solare come sulla terra, quindi a che serve?
bho, mi sa che l'hanno messo tanto perché male non faceva...
Vado a memoria, ma mi pare he il polarizzatore possa essere utile anche per eliminare i riflessi provenienti da una specifica direzione. Ricordo di averlo usato per attenuare i riflessi del sole sul mare, per esempio.
si elimina i riflessi, o quantomeno li attenua, in proporzione all'inclinazione rispetto al sole
, e smorza leggermente la luce
quindi ti aiuta anche nei riflessi del terreno, nella saturazione, meno in quelli metallici
"dato che alla NASA non erano stupidi"
Non so se non erano stupidi, ma di sicuro non improvvisavano niente, anche per un semplice orologio da polso non si sono limitati ad andare in un negozio ad acquistare il più bello, ma ne hanno comprati di diverse marche ed in seguito un team di 80 persone ha svolto svariati test in condizioni estreme. Scelto quello migliore ne hanno curato la manutenzione (ogni 6 mesi venivano smontati, oliati e ricalibrati al costo di 20 $ al pezzo nel ’72) e trattati con ogni riguardo.
Tutto questo per un semplice orologio da polso, ma che ha permesso il ritorno a casa della missione “Apollo 13”.
Ma anche “Apollo 11” ha approfittato dell’affidabilità di quell’orologio; durante l’allunaggio, il cronografo di bordo del modulo lunare non funzionò correttamente e Armstrong vi lasciò il suo orologio a bordo, così fu Aldrin a portare il primo “Speedmaster” sulla Luna.
Non so se può servirvi ma vi segnalo il sito di un appassionato di orologi che, stanco di discutere con "Lunacomplottisti" ignoranti, si è messo a fare tutti i calcoli per comprendere se un orologio Omega Speedmaster poteva funzionare sulla Luna.
In base hai suoi calcoli un orologio al polso di un astronauta se tenuto costantemente in zona d’ombra avrebbe raggiunto una temperatura di -18° C in 2ore e 05 minuti, se al contrario era lasciato al sole non oltrepassava i + 59° C.
"De la capacité de la Speedmaster à survivre dans l'espace"
Preciso che l'esposimetro che ho riportato è spot, con campo di misurazione di 1°, quindi utilizzabile solo per riprese particolari. Chissà se hanno avuto l'occasione di usarlo.
Mi immagino che per le esposizioni normali andassero abbastanza a spanne.
Io avrei predisposto una tabella di poche coppie tempi-diaframmi prestabilite, con preferenza per i tempi rapidi per evitare il mosso. Inoltre in assenza di atmosfera le condizioni di illuminazione non dovrebbero variare più di tanto con l'altezza del Sole sull'orizzonte.
Mi risulta strano l'utilizzo del polarizzatore. Presumo che possa servire a eliminare almeno parzialmente i riflessi degli oblò quando fotografavano dall'interno.
Ho letto sul numero di questo mese de "Le Scienze" che nell'agosto del '60 il presidente Eisenhower autorizzò un progetto segreto per un nuovo satellite spia chiamato GAMBIT. La Eastman Kodak si occupò delle apparecchiature di ripresa di bordo e, cito, «per la prima volta fu necessario utilizzare materiali in grado di compensare le espansioni termiche e vernici con proprietà ottiche ottimizzate, tecniche oggi di routine nel settore spaziale.»
Può essere quindi che la Kodak abbia sfruttato in seguito queste conoscenze per la progettazione delle missioni lunari, no?
e se avesse piovuto invece?!?!?..
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