2013/01/30

La “biro milionaria” degli astronauti americani

di Paolo Attivissimo. Questo articolo vi arriva grazie alla donazione per il libro “Luna? Sì, ci siamo andati!" di michele.bar*. Una sua versione precedente era stata pubblicata su Attivissimo.net nel 2003.

English abstract: There is a widely circulated anecdote about the effort that NASA put into solving the problem of writing in weightlessness, where ink does not flow spontaneously toward the tip of a pen. NASA's approach, it is claimed, was to spend millions of dollars to invent a pressurized pen. The proverbially simple-and-straightforward approach of the Russian space program was to use pencils. The anecdote is amusing and certainly points out authentic differences in the technical mindset of the two space administrations, but it is not true. Both Russian cosmonauts and American astronauts have used pencils as well as pens. The pressurized space pen was invented by Paul Fisher, who paid for its development from his own pocket and gave it to NASA for $2.95. The pen was also used by Russian cosmonauts. Links with further information (mostly in Italian) are provided below.

Circola da anni (almeno dal 1999 secondo Snopes.com) un aneddoto sul programma spaziale statunitense il cui testo esatto varia parecchio ma la cui idea di fondo è sempre la stessa:

Si racconta che la NASA, alle prese col problema di scrivere nello spazio in assenza di peso, abbia speso milioni di dollari per realizzare una biro col serbatoio d'inchiostro pressurizzato. Senza la pressurizzazione e senza la gravità a farlo scendere, infatti, l'inchiostro non scorreva verso la punta e quindi la biro non scriveva.

Gli ingegneri sovietici, dovendo risolvere lo stesso problema, usarono la loro proverbiale semplicità.

Diedero ai cosmonauti una matita.

L'aneddoto è simpatico e si presta a mostrare come spesso si cercano soluzioni avveniristiche quando basta un po' di buon senso e semplicità, ma è importante chiarire, se lo raccontate, che si tratta di una sorta di parabola e non di fatti autentici. Una volta chiarito questo, l'aneddoto ha la sua giusta funzione educativa senza essere ingannevole.

Infatti la semplicità delle soluzioni adottate dagli ingegneri russi è notissima fra gli addetti ai lavori, specialmente nel settore aerospaziale, ma gli eventi descritti dall'aneddoto non sono veri. In estrema sintesi:

  • gli astronauti USA hanno usato le matite per anni
  • la biro spaziale è stata sviluppata da un'azienda privata senza finanziamenti NASA
  • anche i russi hanno usato le biro spaziali.

Come raccontato da Snopes.com, in realtà sia i russi, sia gli americani usarono sin da subito le matite. Purtroppo si scoprì che le loro punte si spezzavano facilmente e continuavano a fluttuare nell'aria, col rischio di essere ingerite o inalate e (siccome la grafite conduce corrente) di causare corti circuiti incastrandosi nelle apparecchiature.

Inoltre la grafite e il legno delle matite erano facilmente infiammabili nell'atmosfera di ossigeno puro usata nelle prime capsule spaziali. Non va dimenticato, a questo proposito, che tre astronauti americani perirono nell'incendio scoppiato a bordo dell'Apollo 1 durante una simulazione a terra, per cui la paranoia verso l'infiammabilità era più che giustificata. Anche un portamina, che fa a meno del legno, contiene comunque grafite pericolosa.

La matita, in altre parole, non era affatto la soluzione geniale che racconta l'aneddoto.

Nel luglio del 1965 un imprenditore statunitense, Paul Fisher, realizzò a proprie spese e di propria iniziativa una biro pressurizzata, oggi nota come Fisher Space Pen, e ne vendette alla NASA alcuni esemplari a prezzo simbolico: due dollari e 95 cent al pezzo. La biro costò a Fisher oltre un milione di dollari, che non chiese mai alla NASA.

La Fisher Space Pen fu poi utilizzata (o perlomeno portata nello spazio) anche dai cosmonauti russi, come documentato dalla foto qui accanto, tratta da The Writer's Edge, che mostra Pavel Vinogradov (a sinistra) e Anatoly Solovyev (a destra) a bordo della stazione spaziale MIR. La fotografia non è datata con precisione, ma i due cosmonauti vissero a bordo della MIR dal 5 agosto 1997 al 19 febbraio 1998.

Secondo il sito della Fisher, il primo utilizzo della biro spaziale avvenne a bordo dell'Apollo VII, nell'ottobre del 1968. Tuttavia le matite non sono affatto scomparse dal programma spaziale: una rapida ricerca negli archivi online della NASA usando la parola chiave pencil (“matita”) rivela che le matite furono usate anche a bordo della navetta spaziale Shuttle. Per esempio, la didascalia di questa foto, datata 18 marzo 1989, parla di tethered pencils, ossia di matite trattenute da una cordicella.

Anche a bordo della Stazione Spaziale Internazionale sono state usate delle matite: lo testimonia ad esempio l'astronauta Peggy Whitson, che nel 2002 raccontava di un esperimento improvvisato in cui mise a mezz'aria una matita (pencil) per verificare che la Stazione si stava lentamente muovendo rispetto a lei a causa di una manovra di reboost. Inoltre, se si fruga nella Rete alla ricerca di foto e oggetti autografati nello spazio dagli astronauti, si nota spesso che sono firmati a matita.

Concludendo: i russi non usano sempre le matite e gli americani non usano sempre le biro ultratecnologiche. Mai fidarsi degli aneddoti passati di bocca in bocca.


L'ingegno russo (quello vero)


Un esempio autentico di come i russi abbiano acquisito la fama di artisti della semplicità aerospaziale è la progettazione delle capsule Vostok, Voskhod e Soyuz russe rispetto a quelle Mercury, Gemini, Apollo e Dragon statunitensi.

Le capsule spaziali statunitensi hanno sempre avuto una forma conica, con lo scudo termico sul fondo del cono. Questo ha dei vantaggi tecnici (riduce la decelerazione subìta dagli astronauti e consente un maggior controllo sulla traiettoria), ma richiede che la capsula assuma un assetto ben preciso al momento di rientrare nell'atmosfera, con il fondo in avanti: qualsiasi altro assetto incenerirebbe il veicolo.

Di conseguenza, gli americani dovettero adottare un complesso sistema di manovra e di orientamento basato su piccoli motori a razzo. I russi, più semplicemente, diedero alla Vostok la forma di una sfera e ne concentrarono il peso verso un'estremità, in modo che la capsula assumesse spontaneamente l'assetto giusto.


Ma ci vuole davvero una biro “spaziale”?


A ottobre 2003, l'astronauta Pedro Duque ha condotto un esperimento informale a bordo di una navicella Soyuz: è riuscito a scrivere i propri appunti (compresa l'annotazione che cito qui sotto, tratta dal sito dell'ESA) usando una normale biro commerciale. Questo sembra indicare che non occorre affatto una biro pressurizzata per scrivere in assenza di peso.

23 October 2003 - I am writing these notes in the Soyuz with a cheap ballpoint pen. Why is that important? As it happens, I've been working in space programmes for seventeen years, eleven of these as an astronaut, and I've always believed, because that is what I've always been told, that normal ballpoint pens don't work in space.

"The ink doesn't fall", they said. "Just try for a moment writing face down with a ballpoint pen and you will see I'm right", they said. During my first flight I took with me one of those very expensive ballpoint pens with a pressure ink cartridge, the same as the other Shuttle astronauts. But the other day I was with my Soyuz instructor and I saw he was preparing the books for the flight, and he was attaching a ballpoint pen with a string for us to write once we were in orbit. Seeing my astonishment, he told me the Russians have always used ballpoint pens in space.

So I also took one of our ballpoint pens, courtesy of the European Space Agency (just in case Russian ballpoint pens are special), and here I am, it doesn't stop working and it doesn't 'spit' or anything. Sometimes being too cautious keeps you from trying, and therefore things are built more complex than necessary.

Traduco:

23 ottobre 2003 - Sto scrivendo questi appunti a bordo della Soyuz usando una penna a sfera da quattro soldi. Perché è importante questa cosa? Si dà il caso che lavoro nei programmi spaziali da diciassette anni, undici dei quali trascorsi come astronauta, e ho sempre creduto, perché così mi hanno sempre detto, che le normali penne a sfera non funzionassero nello spazio.

"L'inchiostro non scende" dicevano. "Prova un attimo a scrivere sottosopra con una penna a sfera e vedrai che ho ragione" dicevano. Durante il mio primo volo, portai con me una di quelle costosissime penne a sfera con serbatoio d'inchiostro pressurizzato, come fanno gli altri astronauti dello Shuttle. Ma l'altro giorno ero con il mio istruttore per la Soyuz, e ho visto che stava preparando i libri per il volo e che stava attaccando una penna a sfera a un pezzo di spago in modo che potessimo scrivere una volta arrivati in orbita. Notando il mio sbigottimento, mi disse che i russi usano da sempre le penne a sfera nello spazio.

Così anch'io ho preso una delle nostre penne a sfera, per gentile concessione dell'Agenzia Spaziale Europea (nella remota ipotesi che le penne russe fossero speciali), ed eccomi qua: non smette affatto di funzionare e non "sputacchia" né causa altri problemi. A volte essere troppo cauti ti impedisce di fare qualche prova e quindi si costruiscono cose più complicate del necessario.


Fonte aggiuntiva: Fisher Space Pen, NASA.

2013/01/26

Sbarco sulla Luna falso? Forza, diteglielo in faccia

di Paolo Attivissimo



Buzz Aldrin on WhoSay

Buzz Aldrin, membro del primo equipaggio a sbarcare sulla Luna, in Alaska, ospite dell'ANSEP, 25 gennaio 2013.

2013/01/16

La corsa del Rover di Apollo 16 restaurata e stabilizzata

di Paolo Attivissimo. Questo articolo vi arriva grazie alla donazione per il libro “Luna? Sì, ci siamo andati!" di francesca.tox* ed è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale. Ultimo aggiornamento: 2013/11/01.


Aprile 1972: Charlie Duke riprende con una cinepresa 16 mm la corsa di John Young sul Lunar Rover. La cinepresa viene poi montata sul Rover e riprende il loro viaggio sulla superficie lunare.

La corsa non fu improvvisata, ma faceva parte degli esperimenti pianificati per la missione, come si può vedere in questa pagina di istruzioni, nella quale la prova di guida viene denominata Grand Prix. Tutti i dettagli sono in questa pagina dell'Apollo Lunar Surface Journal.

La stabilizzazione digitale (realizzata con il filtro Deshaker v2.5 per VirtualDub 1.9.9) permette di apprezzare molto meglio i dettagli di queste sequenze e la difficoltà di guidare un veicolo su una superficie così irregolare e con una gravità ridotta a un sesto di quella terrestre, che fa sollevare con estrema facilità l'auto elettrica degli astronauti.

A titolo di paragone, questa è la ripresa originale non stabilizzata:



2013/11/01


Ho creato un video che include l'originale non stabilizzato e la versione stabilizzata e anche reinquadrata (sottoposta a cropping) per eliminare lo sfarfallio dei bordi causato dalla stabilizzazione.

2013/01/14

Neil Armstrong intervistato da Patrick Moore nel 1970

di Paolo Attivissimo. Questo articolo vi arriva grazie alla donazione per il libro “Luna? Sì, ci siamo andati!" di giustur* ed è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

In questo video, Patrick Moore, storico conduttore della BBC in campo astronautico e astronomico scomparso di recente, intervista Neil Armstrong. L'intervista fu trasmessa per la prima volta il 19 novembre 1970 nell'ambito della trasmissione The Sky At Night.

Oltre a essere interessante come testimonianza di prima mano di chi ha camminato sulla Luna, è un'altra dimostrazione della falsità del mito lunacomplottista secondo il quale Armstrong si vergognava e rifiutava di parlare alla stampa della propria missione: semplicemente sceglieva con cura le trasmissioni e gli eventi pubblici ai quali partecipava.


Ecco una trascrizione veloce della conversazione.

MOORE: Mr. Armstrong, I do realize that when you were on the Moon you had very different time for gazing upwards, but could you tell us something about what the sky actually looks like from the Moon? The Sun, the Earth, the stars, if any, and so on?

ARMSTRONG: The sky is a deep black when viewed from the Moon, as it is when viewed from cislunar space – the space between the Earth and the Moon. The Earth is the only visible object other than the Sun that can be seen. Although there have been some reports of seeing planets, I myself did not see planets from the surface, but I suspect they might be visible. The Earth is quite beautiful from space and from the Moon it looks quite small and quite remote but... It's very blue and covered with white lace of the clouds and the continents are clearly seen, although they have very little color from that distance.

MOORE: What about the Sun? Did you see any trace of the corona?

ARMSTRONG: No, the glare from the Sun on the helmet visor was too difficult to pick out the corona. The only time we could see the corona was during an eclipse of the Sun from the Moon – that is, when we were flying through the Moon's shadow and could observe the solar corona peeking out from behind the Moon.

MOORE: Looking at the photographs that you brought back, the colored photographs of the Moon's surface, it seems that the colour of the surface actually varies according to the angle from which you see it. Is this so? Does it do this?

ARMSTRONG: Yes, it certainly does. It's a characteristic that we observed first while traveling around the Moon in orbit. We could see that at the terminator – at the boundary between the black part of the Moon and the lighted part of the Moon – it was as if you were looking at a television set with the contrast turned to full contrast: very black and very white. As you moved further into the light there were more and more shades of gray. But as you moved further, such that the Sun was higher above the horizon, you actually start to see the tans and browns appear, although at a very low level. Similarly, on the surface of the Moon the same characteristic is evident. You can see browns if the Sun is high enough. Apollo 12, for example, landed while the Sun was only 5° above the horizon, so when they arrived they saw no browns or tans anywhere – only fairly high-contrast grays.

MOORE: But you did.

ARMSTRONG: Yes, I did. The Sun was at 11°, and Apollo 12 did also the next day, when they arose from their sleeping period and the sun was higher. Of course then the browns were observable to them.

MOORE: When you were actually walking about on the Moon's surface and kicking about a certain amount of dust, did you notice any local colour? And also, were you at all subconsciously worried about the possibility of unsafe areas?

ARMSTRONG: Well, the color is a puzzling phenomenon on the Moon. Aside from the characteristics that I've already mentioned, you generally have the impression of being on a desert-like surface, with rather light-colored hues. Yet when you look at the material at close range, as if in your hand, you find it's a charcoal gray in fact, and we were never able to find any things that were very different from that color. I suspect that as we get more and more samples with future flights we will see that there is in fact some color but the optical properties on the Moon are most peculiar.

MOORE: When you were actually walking about, did you have the have any difficulty in distance judging? Because I think I heard you say once that near... far things looked quite near.

ARMSTRONG: Yes, we had some difficulties in perception of distance. For example, our television camera we judged to be, from the cockpit of the lunar module, only about 50 to 60 feet away, yet we knew that we had pulled it out to the full extension of a 100-foot cable. Similarly, we had difficulty guessing how far the hills out on the horizon might be. A peculiar phenomenon is the closeness of the horizon, due to the greater curvature of the Moon than we have here on Earth – of course four times greater, and the fact that it is an irregular surface, with crater rims overlying other crater rims. You can't see the real horizon, you're seeing hills that are somewhat closer to you. There was a large crater which we overflew during our final approach which was... had hills of the order of 100 feet in height, and we were only 11-1200 feet west of that hill and we couldn't see it. A 100-foot-high hill from from 1100-1200 feet away, so...

MOORE: Did you notice any obvious differences between the far side and the near side, as you went around it? I mean, apart from the obvious differences in topography?

ARMSTRONG: No observable differences in color, but then the Sun's angle was always somewhat different over there, so it would be difficult to make a general correlation. I would say that topography is a striking change – of course, as all your viewers know, there are no seas on the far side of the Moon, it's all highlands and high mountains, big craters, so it's strikingly different from the side...

MOORE: There's one more thing I'd like to ask you. You are one of the very, very few people I think whose opinion on this is really worth having – in fact there are only four of you. Do you think, from your knowledge of the Moon, having been there, that it is going to be possible, in the foreseeable future, to set up scientific bases there on anything like a large scale?

ARMSTRONG: Oh, I'm quite certain that we'll have such bases in our lifetime, somewhat like the Antarctic stations and similar scientific outposts, continually manned. Although certainly there's the problem of the environment, the vacuum and the high and low temperatures of day and night, still in all, in many ways it's more hospitable than Antarctica might be. There are no storms, no snow, no high winds, no unpredictable weather phenomena that we're yet aware of, and the gravity is a very pleasant kind of place to work in, better than here on Earth, and I think it would be quite a pleasant place to do scientific work, and quite practical.

MOORE: Mr. Armstrong, thank you very much, and again let me say what a tremendous honour and privilege it has been to have you here with us.

ARMSTRONG: Thank you.