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2009/09/23

Gli astronauti Apollo avrebbero potuto simulare le missioni stando in orbita terrestre?

di Paolo Attivissimo. L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

Alcune teorie lunacomplottiste, come per esempio quelle di Bart Sibrel, sostengono che gli astronauti delle missioni Apollo partirono realmente con i loro vettori Saturn V e rientrarono con gli ammaraggi che il mondo vide, ma in realtà non andarono sulla Luna: rimasero in orbita intorno alla Terra.

In questo modo, sostengono i lunacomplottisti, non avrebbero dovuto affrontare le fasce di Van Allen, che a loro dire sarebbero letali fasce di radiazioni, e avrebbero potuto effettuare le trasmissioni televisive in cui mostravano di essere in assenza di peso. Soltanto le riprese lunari sarebbero state falsificate.

Questa teoria avrebbe il vantaggio di ridurre notevolmente la portata della messinscena e il numero dei partecipanti alla finzione: i veicoli sarebbero stati realmente funzionanti e soltanto un ristretto numero di addetti avrebbe dovuto sapere del cambiamento di rotta. La partenza sarebbe stata reale e il rientro sarebbe stato altrettanto autentico, e gli astronauti sarebbero stati in un luogo dove nessuno avrebbe potuto incontrarli per sbaglio e avrebbero subito gli effetti fisiologici dell'assenza di peso.

Sembra facile, per come lo descrivono i lunacomplottisti. Ma questa teoria si scontra, come tutte le altre, con l'obiezione principale che si può opporre al lunacomplottismo: l'impossibilità di falsificare, con la tecnologia degli effetti speciali degli anni Sessanta, le riprese televisive e cinematografiche delle missioni. A oggi nessuno è riuscito a fornire una spiegazione plausibile di come sarebbero stati ottenuti gli effetti di gravità ridotta e di traiettoria parabolica della polvere visibili nelle riprese.

C'è poi da considerare che le trasmissioni radio e televisive degli astronauti sarebbero arrivate dall'orbita terrestre anziché dallo spazio profondo, comportando una vistosissima differenza di puntamento delle grandi antenne riceventi situate nei vari continenti (in California, in Australia e in Spagna; la foto mostra l'antenna californiana di Goldstone). Un'orbita intera intorno alla Terra al di sotto delle fasce di Van Allen dura non più di un paio d'ore, per cui le antenne avrebbero dovuto "inseguire" il veicolo degli astronauti man mano che si spostava rapidamente nel cielo, mentre durante un viaggio lunare le antenne sarebbero rimaste puntate verso la Luna, inseguendola nel suo lento spostamento in cielo nell'arco di ventiquattro ore.

In altre parole, il puntamento sbagliato delle antenne sarebbe stato visibile anche agli occhi dei profani nelle vicinanze, che si sarebbero chiesti come mai non puntavano verso la Luna. Per non parlare del fatto che i sovietici, in gara con gli Stati Uniti per raggiungere il prestigiosissimo traguardo della Luna, si sarebbero accorti della messinscena usando i loro radiotelescopi. E se ne sarebbero accorti anche i radioamatori che ascoltarono le trasmissioni radio dai veicoli Apollo puntando le antenne verso il nostro satellite (Tracking Apollo 17 from Florida).

Ma c'è un'altra obiezione che rende assurda la tesi del "parcheggio in orbita": i veicoli sarebbero stati visibili da Terra. Qualunque buon astrofilo sa che anche i piccoli satelliti per telecomunicazioni sono visibili nel cielo notturno (e guastano molte fotografie astronomiche), perché restano illuminati a giorno dal Sole mentre sorvolano le zone del pianeta dove è già calata la notte. Un veicolo grande come l'Apollo (con o senza lo stadio S-IV B) non sarebbe passato inosservato.

Per esempio, lo Shuttle, che viaggia in orbita intorno alla Terra a distanze maggiori rispetto a quelle dei veicoli Apollo, è visibile a occhio nudo con estrema facilità: è un punto luminoso che si sposta rapidamente nel cielo, documentabile con una semplice fotocamera amatoriale.

Quando poi sfiata lo scarico della toilette di bordo o l'acqua in eccesso delle celle a combustibile, si forma una scia luminosa di cristalli di ghiaccio che non passa inosservata, come si vede in questa foto scattata negli Stati Uniti il 9 settembre 2009 da Clair Perry (fonte: Space Fellowship).

L'immagine mostra la scia, di aspetto simile a una cometa, dello Shuttle mentre effettua uno scarico di liquidi prima del rientro a Terra. La linea chiara più in basso è la traccia lasciata nell'arco di alcuni secondi dalla Stazione Spaziale Internazionale.

Con un buon telescopio amatoriale, la Stazione Spaziale Internazionale e lo Shuttle sono fotografabili con questo genere di dettaglio, come ci mostra Astrofoto.it:


Il veicolo Apollo, insomma, sarebbe stato visibile a chiunque se fosse rimasto in un'orbita bassa intorno alla Terra. La teoria lunacomplottista si scontra quindi con i fatti verificabili da chiunque.

Ma c'è di più. Quello che non molti sanno è che gli astronomi e gli astrofili di tutto il mondo poterono seguire i veicoli Apollo anche quando lasciarono l'orbita terrestre e si diressero verso la Luna.


Le immagini qui sopra, per esempio, furono scattate dall'osservatorio astrofisico Smithsonian a Maui il 21 dicembre 1968, e ritraggono l'Apollo 8 (la prima missione a uscire dall'orbita terrestre e circumnavigare la Luna) durante l'accensione dei motori per lasciare l'orbita intorno al nostro pianeta e dirigersi verso il suo satellite. Il successivo scarico del carburante residuo dallo stadio S-IVB fu visibile a occhio nudo e fu documentato da vari astrofili del Regno Unito.

Anche l'incidente occorso all'Apollo 13, che comportò il rilascio di una nube di ossigeno, fu documentato visivamente da Terra. Addirittura la NASA fu costretta a fare ricorso alle osservazioni telescopiche professionali dell'osservatorio Chabot di Oakland per determinare l'esatta posizione del veicolo in modo da poter calcolare l'ultima accensione del motore del modulo lunare, usato come retrorazzo d'emergenza, per far rientrare sani e salvi gli astronauti.

Maggiori dettagli sugli avvistamenti amatoriali e professionali delle missioni Apollo, con molte fotografie, sono disponibili presso Tracking the Apollo Flights, di Bill Keel, e in questi articoli:

  • Optical Observations of Apollo 8, di Harold B. Liemon, Sky and Telescope, marzo 1969, pagg. 156-160
  • Apollo 10 Optical Tracking, in Sky and Telescope, luglio 1969, pagg. 62-63
  • Optical Observations of Apollo 12, in Sky and Telescope, febbraio 1970, pagg. 127-130
  • The Apollo 13 Accident, in Sky and Telescope, July 1970, pag. 14

Va aggiunto, giusto per scrupolo, che le posizioni e gli eventi registrati dagli astrofili coincidono esattamente con le posizioni e gli eventi descritti dalla documentazione tecnica della NASA per le singole missioni.