2011/04/30

Neil Armstrong seguace di Sai Baba?

di Paolo Attivissimo. L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

Numerose testate giornalistiche, in occasione della recente morte del santone indiano Sai Baba, hanno aggiunto un dettaglio intrigante: Neil Armstrong, l'astronauta che insieme a Buzz Aldrin mosse i primi passi dell'umanità sulla Luna, sarebbe stato fra gli adepti di Sai Baba. Per esempio, La Stampa ha pubblicato un articolo intitolato “I Beatles, Craxi, e Neil Armstrong stregati dal guru” e l'asserzione è stata ripresa anche in un altro articolo dello stesso giornale e dal TGCom: “E perfino il primo uomo sulla luna, l'astronauta Neil Armstrong, non e' sfuggito al fascino del guru indiano”. Anche la Radiotelevisione Svizzera ne ha parlato nella puntata di Modem del 27 aprile scorso.

Stranamente, però, non ho trovato nessun accenno a Neil Armstrong sul sito Sathyasai.org, curato dai seguaci di Sai Baba, e anzi varie fonti critiche nei confronti di Sai Baba indicano che l'affiliazione citata dai giornali è priva di fondamento.

La fonte degli articoli giornalistici sembra essere una notizia d'agenzia, specificamente un'ANSA delle 8:00 del 24 aprile, nella quale viene riportata esattamente la frase citata dal TGCom, cambiandone solo la grafia: “E perfino il primo uomo sulla Luna, l'astronauta Neil Armstrong, non è sfuggito al fascino del guru indiano.”

Può parere strano che un uomo moderato e riservatissimo come Armstrong, noto per la sua passione per la tecnologia, per il suo distacco e per il suo sangue freddo, si sia legato a un guru controverso come Sai Baba, ma è anche vero che numerosi astronauti hanno vissuto conversioni religiose molto profonde in seguito all'esperienza del proprio viaggio spaziale. Come stanno realmente le cose? Se un uomo di ghiaccio si fosse sciolto di fronte a un guru, sarebbe certamente uno scoop. Ma potrebbe essere anche un'invenzione per aumentare il prestigio di un'organizzazione religiosa sfruttando l'immagine di Armstrong.

Ho contattato l'ANSA il 25 aprile 2011 per sapere da dove provenisse la notizia, ma a tutt'oggi non ho ricevuto risposta. Chiedere lumi al diretto interessato sembrerebbe impossibile: Armstrong è miticamente schivo e riluttante a comunicare con i giornalisti o a prendere parte a diatribe che riguardino la sua vita personale.

Ma ci ho provato lo stesso: ho contattato James Hansen, biografo ufficiale di Neil Armstrong (nel monumentale libro First Man), che ha inoltrato all'astronauta la mia domanda. Nel giro di ventiquattr'ore ho ricevuto via mail una risposta diretta personale da Armstrong, nella quale l'astronauta scrive, con la semplice e diretta concisione che lo caratterizza, che non sapeva neppure dell'esistenza di Sai Baba, non ha mai comunicato in alcun modo con i suoi associati o seguaci, e non è sorpreso dell'asserzione che lo riguarda, dato che molte organizzazioni religiose l'hanno indicato come loro membro.

L'indagine antibufala rivela quindi inaspettatamente due bufale mediatiche anziché una: la prima è l'asserita affiliazione di Neil Armstrong al movimento religioso di Sai Baba, la seconda è la presunta irraggiungibilità del primo uomo sulla Luna.

2011/04/21

Incontro con Walter Cunningham (Apollo 7): i video

di Paolo Attivissimo

È pronta la mia ripresa video dell'incontro pubblico di Walter Cunningham, astronauta della missione Apollo 7, svoltosi a Tradate il 16 aprile 2011 grazie a Roberto Crippa e Luigi Pizzimenti della Fondazione Osservatorio Astrononico "Messier 13". La parte introduttiva dell'incontro è disponibile nella ripresa dell'evento realizzata da Bruno Moretti Turri.

Come noterete, nessun lunacomplottista ha avuto il coraggio di palesarsi.

2011/04/06

Pronta l'edizione aggiornata e in alta risoluzione di “Luna?”

di Paolo Attivissimo

Come promesso tempo addietro, ho reso disponibile per lo scaricamento gratuito l'edizione con grafica in alta risoluzione del mio libro “Luna? Sì, ci siamo andati!”.

Il file è inevitabilmente un po' più pesante di prima (circa 160 megabyte contro i sette della versione con grafica ridotta), ma dal punto di vista delle immagini dovrebbe essere molto più gradevole da sfogliare sullo schermo.

Ho colto l'occasione per integrare alcune correzioni e un paio di aggiornamenti e per semplificare le opzioni di distribuzione. Scompare la versione stampata a colori, troppo onerosa da gestire in proprio; al suo posto c'è l'edizione cartacea in bianco e nero, con una rilegatura più robusta e un costo leggermente inferiore rispetto alla versione in bianco e nero precedente, e c'è (o meglio, ci sarà tra poco) la possibilità di scaricare le 260 illustrazioni come file originali, spesso in altissima risoluzione.

Tutta la gestione del libro (sia cartaceo, sia PDF) ora passa tramite Lulu.com, per cui diventa possibile farsi spedire a casa il libro in tutto il mondo a 17 euro più le spese di spedizione. Il PDF in alta qualità è scaricabile gratis da Lulu.com. Tutti i dettagli e i link per lo scaricamento e l'acquisto sono in questa pagina. Se trovate problemi o aspetti non chiari, segnalatemelo via mail o nei commenti.

È ormai passato un anno dal debutto del libro e sono soddisfattissimo dei commenti ricevuti e degli sviluppi del progetto: autoprodurre un libro non è una passeggiata e gli errori di crescita sono inevitabili. Li ho pagati di tasca mia, ovviamente, ma sto acquisendo l'esperienza che mi permetterà di continuare su questa strada con nuovi libri su questo ed altri argomenti.

Grazie a tutti per l'incoraggiamento. Ad astra!

2011/04/05

I costi del programma Apollo

di Paolo Attivissimo

Uno dei miti dell'esplorazione spaziale riguarda il suo costo in termini strettamente monetari. Si pensa comunemente che il programma Apollo per portare l'uomo sulla Luna abbia comportato costi immensi e insostenibili: un sondaggio del 1997 indicò che l'opinione pubblica americana stimava in media che il costo dell'esplorazione spaziale umana ammontasse al 20% del bilancio federale degli Stati Uniti (Public Opinion Polls and Perceptions of US Human Spaceflight).

Il mito, tuttavia, non regge alla verifica dei fatti. Secondo il documento The Manhattan Project, the Apollo Program, and Federal Energy Technology R+D Programs: A Comparative Analysis, redatto nel 2009 dal Congressional Research Service statunitense, nell'anno di massima spesa il programma Apollo assorbì il 2,2% del bilancio federale, pari allo 0,4% del prodotto interno lordo. Wikipedia in inglese ha un confronto, anno per anno, fra spese della NASA e bilancio federale; l'Appendice H di Chariots for Apollo elenca le spese in dettaglio, e lo stesso fa l'Appendice 2 di Where No Man Has Gone Before.

Passando dalle percentuali agli importi, nel 1973 fu dichiarato che il costo complessivo del programma Apollo era stato di 25,4 miliardi di dollari (House Subcommittee on Manned Space Flight of the Committee on Science and Astronautics, 1974 NASA Authorization, Hearings on H.R. 4567, 93/2, Part 2, pagina 1271). Espresso in dollari del 2005, l'importo equivale a circa 170 miliardi distribuiti su dieci anni (A Budgetary Analysis of NASA’s New Vision for Space, settembre 2004, citato in NASA's Joint Confidence Level Paradox - A History of Denial (2009).

A titolo di paragone, la spesa annuale statunitense per la difesa ammontava nel 2005 a 493 miliardi di dollari, quella per la previdenza sociale a 518 miliardi e quella per l'assistenza sanitaria a 513 miliardi (CBO Historical Tables 1971-2010).

In altre parole, gli Stati Uniti spendono per la difesa ogni anno circa tre volte il costo dell'intero programma Apollo.

2011/03/04

L'UFO della Gemini VII: il “bogey” di Frank Borman

di Paolo Attivissimo. Questo articolo è apparso inizialmente nel blog Nufologia.

Un lettore, Luca, mi segnala il caso di uno dei presunti avvistamenti di UFO da parte degli astronauti citati spesso dai siti ufologici: quello di Frank Borman e James Lovell durante la missione Gemini VII, nel dicembre del 1965. L'episodio viene raccontato attribuendo agli astronauti delle comunicazioni radio che parlano inequivocabilmente di un veicolo non identificato e la narrazione è spesso accompagnata dalla fotografia mostrata qui accanto.

La versione di Misteriufo:

Durante la seconda orbita Borman segnala un oggetto luminoso davanti alla capsula, che non può essere il razzo vettore, in quanto anche quest'ultimo risulta visibile attraverso l'oblò. Più tardi vengono fotografate strane luminosità azzurrognole, munite di appendici vaporose, che passano sotto la Gemini. Per il primo avvistamento, la NASA parla di un ignoto frammento di vettore in orbita, forse i resti di un Titan ma il NORAD (l'ente che segue le rotte di ogni satellite) dichiara: «E' impossibile che resti di un Titan o di qualsiasi altro missile si possano trovare in quella posizione». Per il secondo avvistamento si parlò di fulmini globulari nell'alta atmosfera.

La versione del CUN (Centro ufologico nazionale) italiano:

Nel Dicembre del 1965, anche gli astronauti Gemini James Lovell e Frank Borman videro un UFO nel corso della seconda orbita del loro volo record di 14 giorni.
Borman riportò di aver visto un'astronave sconosciuta poco distante dalla loro capsula. Il Controllo Gemini a Cape Kennedy gli disse che stava osservando
I'ultimo stadio del loro stesso razzo Titan. Borman confermò di poter vedere perfettamente il razzo, ma che poteva vedere anche qualcosa di completamente diverso. Questa comunicazione fu riportata durante il volo di James Lovell sulla Gemini 7:
Lovell: "Oggetto non identificato a ore 10 in alto".
Controllo: "Qui Houston. Ripetete, Sette"
Lovell: "Ho detto che abbiamo un oggetto non identificato a ore 10 in alto"
Controllo: "Gemini 7, è il razzo o un avvistamento effettivo?"
Lovell: "Abbiamo diversi avvistamenti effettivi."
Controllo: "Distanza o dimensioni stimate?"
Lovell:"Abbiamo in vista anche il razzo."

Alieni e Misteri ha anche uno spezzone di audio.

Andando a controllare i fatti pubblicati su Nasa.gov, la missione Gemini VII ebbe luogo dal 4 al 18 dicembre 1965 ed ebbe a bordo Frank Borman (pilota comandante) e James Lovell (pilota), entrambi al loro primo volo spaziale. I due astronauti stabilirono un record di durata che rimase imbattuto per cinque anni.

Gli archivi della NASA mettono a disposizione l'audio originale e la trascrizione delle comunicazioni radio della missione, che contengono questo scambio in cui si parla di “bogey”, termine del gergo militare aeronautico che indica un velivolo nemico o non identificato. È l'unico riferimento a un “bogey” nell'intera trascrizione delle comunicazioni da e verso Terra. “C” è il comandante Borman; “CC” è il Capcom, ossia l'addetto alle comunicazioni con gli astronauti che si trova a terra, nel centro di controllo di Houston.


C Gemini VII here. Houston, how do you read?
CC Loud and clear, VII. Go ahead.
C I have a bogey at 10:00 o'clock high.
CC This is Houston. Say again, VII.
C Said we have a bogey at l0:00 o'clock high.
CC Roger.
CC Gemini VII, is that the booster or is that an actual sighting?
C ...
CC Say again, VII.
C Said ... we have several - looks like ... actual sighting.
CC Do you have any more information, estimated distance, or size?
C We also have the booster in sight.
CC Understand you also have the booster in sight. Roger.
C ... there are very many - looks like hundreds of little particles going by from the left out about 3 or 4 miles.
CC Understand you have many small particles going by on the left. At what distance?
C ... looks like ...
CC Roger. Understand they're about 3 or 4 miles away?
C They're past now; they're in a polar orbit.
CC Roger. And understand they were about 3 to 4 miles away?
C That's what it appeared like, or farther.
CC Roger.
CC Gemini VII, Houston. Were these particles in addition to the booster and the bogey at 10:OO o'clock high?
C ...
CC Roger.

(Gemini VII Composite Air-to-Ground and Onboard Voice Tape Transcription, Vol. 1, pagg. 32-34, da 01:43:17 a 01:45:28)

Il confronto fra la trascrizione che include anche il PAO (l'addetto alle comunicazioni al pubblico) e lo spezzone di audio presentato da Alieni e Misteri indica un rimontaggio: le parole del PAO, che sono a pagina 79 del PAO Mission Commentary Transcript, vengono pronunciate dopo che ci sono stati vari altri scambi di messaggi con gli astronauti.

La cosa più importante è che l'estrapolazione delle frasi dal loro contesto fa sembrare misteriosa una comunicazione che in realtà non lo è quando si legge l'intera trascrizione delle comunicazioni e si conosce la missione. Lo spiega molto lucidamente lo storico dell'astronautica James Oberg in Gemini-7: Lessons and Legends  - A 30th Anniversary Revisit "Formation Flying", "Lessons Learned" Later, and one "Bogey" (15 settembre 1995): uno degli scopi della missione Gemini VII era un rendezvous con il secondo stadio del missile Titan-2, anch'esso arrivato in orbita intorno alla Terra.

Per una semplice necessità di meccanica celeste, la Gemini VII si trovò a ripassare più volte attraverso la nube di frammenti d'ogni dimensione staccatisi spontaneamente dallo stadio. Nello spazio e a velocità orbitale, l'assenza d'aria e di peso fanno sì che questi frammenti proseguano lungo la propria traiettoria viaggiando di conserva. Quello che videro gli astronauti era semplicemente un frammento più luminoso proveniente dal proprio missile. Non per nulla l'avvistamento avviene proprio in concomitanza con uno dei passaggi attraverso la nube di frammenti.

Del resto, il tono assolutamente calmo e rilassato con il quale gli astronauti dialogano con il centro di controllo a Houston indica che l'avvistamento non ha nulla di straordinario. Se davvero si fosse trattato di un veicolo alieno, presumibilmente le reazioni verbali sarebbero state ben altre.

Resta da chiarire la fotografia. La prima cosa che si nota è un fenomeno ricorrente nelle immagini ufologiche: la pessima qualità e la mancanza di una fonte precisa. Anche qui viene in soccorso James Oberg, che nell'articolo già citato ricorda la sua analisi dell'immagine, datata 1976 e pubblicata in Search Magazine.

Si tratta di una versione alterata e sgranata della foto S65-63722, scattata durante la missione. Secondo il documento Earth Photographs From Gemini VI Through XII, è la prima foto del rullino 24, scattata durante la settantasettesima rivoluzione intorno alla Terra, il 9 dicembre 1965 alle 21:51 GMT, quindi vari giorni dopo il presunto avvistamento, sopra l'Oceano Pacifico occidentale.

Scansione per gentile concessione di Ed Hengeveld, Apollo Lunar Surface Journal.

La versione originale di questa foto, presentata qui sopra, mostra in realtà il muso (scuro e in ombra) della capsula, sul quale si vede il riflesso metallico sfuocato degli ugelli dei piccoli razzi di regolazione d'assetto del veicolo spaziale. La forma del muso e la posizione degli ugelli è chiarita da questa fotografia di un rendezvous fra le capsule Gemini 6 e 7.

Foto NASA S65-63194.


La fotografia ufologica è stata insomma alterata, in modo che il muso scuro si confonda con la Terra altrettanto scura che si vede sullo sfondo, e poi capovolta e ritagliata.



Il riflesso degli ugelli si nota anche in altre fotografie delle missioni Gemini, come quella mostrata qui sotto, la S65-45753, riferita alla Gemini V.


Un esempio ancora più chiaro di come gli ugelli dei motori di manovra brillino quando il muso della capsula Gemini è in ombra o penombra è dato dalla foto S66-63060, tratta dalla missione Gemini XII e datata 14 novembre 1966:

2011/02/07

Apollo 15 e LRO

di Paolo Attivissimo

Il blog Fuffologia ha pubblicato un bell'articolo nel quale vengono messe a confronto le riprese filmate del decollo dalla Luna dell'Apollo 15 nel 1971 e le fotografie scattate nell'aprile del 2010 alla stessa zona della superficie lunare dalla sonda automatica Lunar Reconnaissance Orbiter (LRO).

Durante il decollo, la cinepresa del modulo lunare dell'Apollo 15, con a bordo gli astronauti David Scott e James Irwin, inquadrò brevemente dall'alto la zona di allunaggio. È quindi possibile isolare dal filmato i fotogrammi che mostrano la zona e verificare se quanto viene mostrato coincide con quello che risulta oggi esserci sulla Luna in quell'area. Il risultato è eloquentissimo. Come avrebbe fatto la NASA a fabbricare nel 1971 una ripresa che mostra esattamente quello che c'è sulla Luna oggi, con tanto di strumenti, stadio inferiore del modulo lunare e scie di impronte degli astronauti e della loro auto elettrica?

Qui vi mostro solo l'immagine animata di raffronto: per i dettagli del procedimento e per le riprese originali leggete l'articolo originale di Gabriele.

Transizione tra fotogramma del 1971 e foto del 2010

2011/01/11

L'antenna impossibile della capsula Gemini

di Paolo Attivissimo. L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

In una conferenza sulle missioni lunari che ho tenuto a Brescia qualche tempo fa ho commesso un errore tecnico di cui vorrei scusarmi pubblicamente. Ho dato una risposta inesatta a una domanda di una persona del pubblico, che aveva sollevato la questione dell'apparente assurdità di alcune fotografie delle capsule Gemini scattate dopo l'ammaraggio. In queste fotografie le capsule mostravano un'asta molto lunga che sporgeva dal muso del veicolo e si ergeva a mo' di albero d'imbarcazione.

Il mio interlocutore aveva sottolineato che quell'asta non sarebbe stata in grado di sopravvivere al calore e alla resistenza aerodinamica del rientro in atmosfera e che a suo parere le fotografie erano state scattate durante un addestramento in mare e poi spacciate per immagini del rientro a Terra degli astronauti americani.

Una tesi per certi versi analoga e più articolata è sostenuta da Ralph René nel suo libro NASA Mooned America! (1994) a pagina 4. Scrive René, mostrando una copia sgranata in bianco e nero della fotografia a colori presentata all'inizio di questo articolo:
Wally Schirra e Tom Stafford stanno per essere recuperati dopo l'ammaraggio nella missione Gemini 6A. Asseriscono di aver effettuato un rendezvous nello spazio con Borman e Lovell, che pilotavano la Gemini 7. Dal muso della capsula vediamo la base di una lunga antenna a frusta in fibra di vetro. È completamente intatta, e non è retrattile, dato che la cabina della capsula non contiene un pozzetto per antenne. Le capsule arrivavano dalla fabbrica lucenti di pellicola argentea (carbonizzata da da temperature superiori a 2700 °C durante il rientro). Qualunque cosa non sia protetta dal rivestimento ablativo anteriore si incenerirà. Nessuna delle altre capsule Gemini mostravano antenne a frusta dopo il rientro. Quest'antenna risponde a frequenze non utilizzate nello spazio e sarebbe utile solo nel localizzare la capsula dopo l'ammaraggio. Una volta trovata la capsula non avrebbe alcuna ulteriore utilità. Perché i difensori della NASA argomentano che i sommozzatori di recupero l'hanno installata dopo che era nell'acqua? L'unica conclusione logica è che questa capsula non ha mai effettuato un rientro dallo spazio ma è stata paracadutata da un aereo da trasporto della CIA.

Wally Schirra and Tom Stafford are about to be rescued after splash-down on Gemini 6A. They claim to have made a rendezvous in space with Borman and Lovell, who were flying Gemini 7. From the front of the capsule we see the base of a long fiberglass whip antenna. It is completely undamaged, and it is not retractable, as the capsule cabin contains no antenna well. The capsules came from the factory gleaming with a silver film (which is charred by temperatures over 5000 degrees during re-entry). Anything not shielded by the forward ablative coating will burn up. None of the other Gemini capsules showed whip antennas after splash-down. This antenna responds to frequencies not used in space and would only be of value in locating the capsule after it landed. Once the capsule was found it would have no further value. Why do NASA apologists argue that the rescue divers installed it after it was in the water? The only logical conclusion left is that this capsule never re-entered from space but was parachuted from a CIA cargo plane.

È interessante notare che secondo René la spiegazione più semplice e sensata (si tratta di un dispositivo collocato dopo il rientro) è inaccettabile e “l'unica conclusione logica” è una complicatissima operazione ultrasegreta di lancio da un aereo della CIA, di cui René non offre alcuna documentazione o prova. Oltretutto l'asta o antenna sarebbe stata un ostacolo fragile e ingombrante anche in caso di lancio da un velivolo, per cui la congettura di René in realtà non risolve e non giustifica nulla.

René omette di specificare il numero di catalogo della fotografia in questione, complicando inutilmente le verifiche, ma una ricerca negli archivi pubblici della NASA consente di determinare che si tratta della foto S65-61886, datata 16 dicembre 1965 e riferita all'ammaraggio della missione Gemini 6. Una versione ad alta risoluzione è disponibile presso Archive.org e presso NasaImages.

Nelle descrizioni di questa fotografia non c'è alcun accenno all'asta, ma viene precisato che si tratta di un'immagine scattata dopo l'ammaraggio, non durante un addestramento (“Navy divers assist Gemini 6 crew to open hatches after landing – A water level view of Navy divers assisting Gemini 6 crewmembers Stafford and Schirra to open hatches after landing in the Atlantic”). Anzi, le immagini dell'addestramento di altre missioni Gemini non presentano affatto quest'antenna (S65-39907, Gemini 5; S65-55562, Gemini 8). La NASA, insomma, dichiara esplicitamente che si tratta di una fotografia riguardante il rientro e l'ammaraggio al termine della missione.

L'asta o antenna è visibile anche nella foto S340/118 della medesima missione, che la mostra per intero ed è presentata qui accanto. La si può scorgere anche nelle foto S340/100, S65-18645 e S65-19229 riguardanti il rientro della Gemini 3. In tutte queste immagini se ne apprezza la lunghezza considerevole. Altre immagini del recupero della missione Gemini 6, come la S65-61824, mostrano invece la capsula senza antenna; lo stesso vale per immagini del recupero di altre missioni (S340/045, Gemini 8; S340/111, Gemini 10).

Durante la conferenza ho recuperato dal mio archivio portatile una delle fotografie citate dallo spettatore e ho risposto che l'asta era un'antenna radio retrattile, che veniva estratta dopo l'ammaraggio, e che sulla superficie esterna della capsula Gemini c'era infatti un solco conforme nel quale l'asta si inseriva a misura. Ma la mia risposta è stata imprecisa, per cui la correggo qui.

L'asta era sì un'antenna retrattile, e quindi non aveva bisogno di resistere alle sollecitazioni termiche e aerodinamiche del rientro, ma non si inseriva nel solco conforme. Si tratta infatti dell'antenna per comunicazioni in alta frequenza (HF whip antenna), che veniva utilizzata come radiofaro per la localizzazione in mare (recovery beacon) e collocata in un alloggiamento tubolare, separato e disassato rispetto al solco. Il suo funzionamento è descritto presso la Case Western Reserve University (sezione Reentry di Gemini Program), presso Skyrocket.de e in dettaglio nel Project Gemini Familiarization Manual (sezione HF Whip Antennas).

Da queste fonti risulta che quest'antenna era composta da sei elementi retrattili che, quando erano estesi completamente, formavano un'asta lunga circa 13 piedi e 3 pollici (circa 4 metri) che pesava circa 9 libbre (4 kg). L'antenna veniva estratta dopo l'ammaraggio mediante un comando presente nella cabina.

Fonte: Project Gemini Familiarization Manual, SEDR 300, agosto 1966 (via Sven Grahn).

La tesi di René è quindi sbagliata: l'antenna era retrattile eccome e rispondeva a frequenze non utilizzate nello spazio per la semplice ragione che non veniva utilizzata nello spazio. Inoltre i “difensori della NASA” non affermano affatto che veniva montata dai sommozzatori, per l'altrettanto semplice ragione che era già a bordo del veicolo. La documentazione parla chiaro.

Un esemplare di quest'antenna è conservato al museo Smithsonian, che ne ha pubblicato una fotografia in configurazione retratta, mostrata qui sotto, e ne ha indicato le misure: 5 centimetri di diametro e 62 centimetri di lunghezza.


Nel solco conforme erano invece alloggiate altre antenne, mostrate per esempio qui (S65-13244), insieme ad altri componenti: in particolare, in questo solco veniva collocata la briglia posteriore (aft bridle strap) del paracadute principale.

A differenza delle capsule Apollo e Mercury, infatti, la Gemini non scendeva e ammarava in posizione verticale con gli astronauti disposti supini, ma assumeva un assetto quasi orizzontale (inclinato a circa 35°) con gli astronauti in posizione seduta, molto più simile a una configurazione aeronautica, grazie al fatto che il paracadute era agganciato a due briglie collocate in due punti spaziati lungo l'asse del veicolo. Nella figura qui sotto, la briglia anteriore e quella posteriore sono indicate rispettivamente da forward bridle strap e aft bridle strap.

Figura 31 di Project Gemini Technology and Operations - A Chronology, NASA SP-4002 (Part 1B).

Questa soluzione “aeronautica” non è la sola caratteristica che rendeva il veicolo Gemini più sofisticato, in alcuni aspetti, rispetto all'Apollo: nei piani iniziali era previsto l'uso di un'ala di Rogallo al posto del paracadute, in modo da permettere una planata controllata e addirittura un atterraggio su una pista, come lo Shuttle, grazie a un carrello retrattile con ruote o pattini. Questi piani arrivarono fino allo stadio di un prototipo in scala 1:1, mostrato nell'immagine qui sotto, ma l'idea fu abbandonata per ridurre i costi e semplificare il veicolo.

Figura 57 di Project Gemini Technology and Operations - A Chronology, NASA SP-4002 (Part 2A).

Vi furono anche proposte di circumnavigare la Luna e addirittura di atterrarvi con una capsula Gemini e di ampliare il veicolo fino a consentire di trasportare nove astronauti contemporaneamente insieme a 2.500 kg di carico in orbita alta a 480 km (progetto “Big G”). Ma queste sono altre storie straordinarie che meritano di essere raccontate separatamente.