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2013/05/04

Le prime foto dalla superficie della Luna

di Paolo Attivissimo. Questo articolo vi arriva grazie alla donazione per il libro “Luna? Sì, ci siamo andati!" di valerifil*.

Il 3 febbraio 1966 la sonda russa Luna 9 (o Lunik 9) atterrava sulla superficie della Luna. Fu il primo atterraggio “morbido” (mediante retrorazzi e una sorta di airbag, alla velocità finale di 22 km/h) di un veicolo su un altro corpo celeste. La parte della sonda che atterrò, una sfera di 58 cm di diametro con una massa di 99 kg, conteneva numerosi strumenti scientifici (incluso un rilevatore di radiazioni) e anche una mini-telecamera (solo 1,5 kg di massa, un valore minuscolo per la tecnologia di quegli anni) che riprese le prime immagini mai realizzate dalla superficie della Luna.




Il segnale radio della sonda, contenente le immagini televisive ottenute tramite scansione lenta ma ad alta risoluzione (6000 linee verticali nell'arco di 100 minuti), fu acquisito anche dal radiotelescopio britannico di Jodrell Bank, i cui tecnici riuscirono a ricostruire l'immagine qui sotto, che è una porzione di una delle panoramiche mostrate sopra.


La segretezza ossessiva del regime sovietico ritardò la pubblicazione delle immagini così tanto che fu Jodrell Bank a diffonderle per prima.

Maggiori dettagli sulla tecnologia che consentì questi risultati, veramente eccezionali per l'epoca, sono presso Mental Landscape (anche qui), Wandering Space e NASA.

2013/03/09

Gli astronauti devono tenere la visiera riflettente sempre abbassata?

di Paolo Attivissimo. Questo articolo vi arriva grazie alla donazione per il libro “Luna? Sì, ci siamo andati!" di stefano@art* ed è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale. Ultimo aggiornamento: 2013/04/15.

Alcuni sostenitori delle tesi di complotto lunare affermano che sarebbe impossibile operare sulla Luna, al di fuori del veicolo spaziale, senza ustionarsi il volto a causa delle radiazioni solari, e che quindi le escursioni lunari sarebbero impossibili. Le immagini in cui gli astronauti hanno la visiera riflettente sollevata, poi, sarebbero ancora più irrealistiche, perché verrebbe a mancare anche la protezione di questo ulteriore strato.

Per esempio, Luogocomune presenta l'obiezione in questa pagina come segue (evidenziazioni aggiunte):

“Per ignoranza, o per abitudine, noi siamo abituati a considerare lo spazio cosmico come un "vuoto" assoluto. In realtà questo spazio è attraversato costantemente da poderose radiazioni solari, milioni di volte più forti di quelle che noi rivceviamo, filtrate dall'atmosfera, sulla Terra. Basti pensare alla differenza che si registra sulla nostra pelle se passiamo un'ora al sole nel tardo pomeriggio (quando i raggi solari ci arrivano in diagonale, e sono quindi maggiormennte filtrati dall'atmostera), e un'ora passata al sole a mezzogiorno (quando invece i raggi ci colpiscono in perpendicolare, ed attraversano uno strato più sottile di atmosfera).

Questo signore deve aver protratto un pò troppo a lungo la sua permanenza al sole, in alta montagna. E' bastato lo scarto di densità atmosferica che c'è con i livello del mare, per ridurlo in quelle condizioni.

Pensiamo ora di togliere del tutto il filtro atmosferico, e di passare un paio d'ore con il volto esposto ai raggi solari, protetti soltanto dallo schermo del casco. Per quanto filtrante possa essere il suo materiale trasparente, non è certo pensabile di poter passare più di un paio di secondi alla diretta luce del sole, senza friggere come cotechini. Al di là della radiazioni cosmiche, infatti, la superficie lunare raggiunge al sole delle temperature medie fra i cento e i duecento gradi centigradi, mentre all'ombra le temperature si abbattono drasticamente sotto i meno-cento gradi centigradi.”

La risposta tecnica dettagliata a questo dubbio è nel capitolo 8 del mio libro “Luna?” (scaricabile gratuitamente o acquistabile come mostrato nella colonna di destra di questo blog), e si riassume con il fatto che i materiali del casco sono sufficientemente filtranti per i raggi infrarossi e ultravioletti, ma c'è un modo molto più diretto di rispondere: confrontare con altre immagini di missioni spaziali sulle quali i complottisti non avanzano dubbi.

Per esempio, gli astronauti delle missioni Shuttle e quelli che lavorano a bordo della Stazione Spaziale Internazionale trascorrono diverse ore consecutive nello spazio, investiti dalle stesse radiazioni solari che colpirebbero un astronauta sulla Luna, perché sono al di fuori dell'atmosfera terrestre che, secondo Luogocomune, sarebbe un filtro protettivo imprescindibile. Ci sono centinaia di ore di registrazioni video delle loro passeggiate spaziali, durante le quali restano esposti al sole, protetti soltanto dai propri caschi, senza che questo comporti problemi.

Non solo: ci sono molte immagini di astronauti Shuttle o ISS che alzano la visiera riflettente mentre compiono passeggiate spaziali, proprio come nell'immagine dell'astronauta lunare mostrata da Luogocomune (probabilmente Harrison Schmitt). L'obiezione, insomma, è infondata, ma ci offre l'occasione di conoscere meglio la tecnologia spaziale e trovare delle magnifiche immagini di uomini e donne che lavorano nello spazio e sorridono attraverso le visiere trasparenti dei propri caschi.

Jerry L. Ross fotografato attraverso un finestrino dello Shuttle Atlantis durante la missione STS-37, 11 aprile 1991. Foto NASA STS037-18-032 (link).

Susan J. Helms durante la missione Shuttle STS-102 (2001), quando stabilì
il record di durata di una passeggiata spaziale con 8 ore e 56 minuti (link)

Michael Gernhardt agganciato al braccio robotico dello Shuttle Endeavour durante la missione STS-69 (1995) (link).

Jeffrey N. Williams durante la missione STS-101 (2000).
Foto NASA STS101-724-081 (link)

James Newman durante la missione STS-88 (1998)
Foto NASA STS088-704-041 (link)

Jerry L. Ross lavora alla Stazione Spaziale Internazionale durante la missione Shuttle STS-110 (2002)
Foto NASA STS110-303-034 (link).

L'astronauta svizzero Claude Nicollier durante la missione STS-103 (1999)
Foto NASA STS103-731-017 (link)

Andrew Feustel all'esterno della Stazione Spaziale Internazionale, 25 maggio 2011.
Dettaglio della foto S134-E-008966 (link)

2009/02/18

Perché le radiazioni delle fasce di Van Allen non hanno ucciso gli astronauti e velato le pellicole?

di Paolo Attivissimo. L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale. Ultimo aggiornamento: 2017/04/09.

Capita spesso di sentir dire dai sostenitori della messinscena lunare che le fasce di van Allen, zone di radiazione intensa disposte intorno alla Terra, sarebbero un ostacolo letale per qualunque missione lunare con astronauti a bordo, e che quindi gli sbarchi umani sulla Luna delle missioni Apollo sarebbero impossibili.

Per esempio, ecco come ne parla Massimo Mazzucco su Luogocomune.net:

Sarebbe infatti impossibile, a detta di ogni scienziato che si rispetti, che un qualunque essere vivente attraversi addirittura le Fasce di Van Allen, altrochè arrivare sulla Luna. (Le F. sono una stretta e poderosa cintura di radiazioni, che va da un polo all'altro della Terra, e che a sua volta protegge la Terra dalle radiazioni cosmiche, ma alla quale è impensabile per noi anche solo avvicinarsi. Ci hanno provato, negli ultimi anni, gli astronauti dello Shuttle, con risultati ben poco confortanti).




Va notata, innanzi tutto, la totale assenza di fonti tecniche di supporto a quest'affermazione. Si dice "a detta di ogni scienziato che si rispetti", ma non viene fatto neppure un nome né fornito alcun riferimento a pubblicazioni autorevoli di settore. Questo è semplicemente un ipse dixit camuffato.

Lo stesso vale per l'asserzione riguardante gli astronauti dello Shuttle: quali di loro vi avrebbero provato, e in quale missione e con quali risultati? Mistero. Non viene detto nulla sulla fonte di queste asserzioni, e al lettore viene chiesto di fidarsi ciecamente dell'autorevolezza di chi scrive. In questo caso si tratta di un fotografo e regista, Massimo Mazzucco, la cui competenza in campi elettromagnetici spaziali è priva di qualunque conferma.

In realtà la questione della relativa pericolosità delle radiazioni delle fasce di Van Allen è ben nota e fu prevista dalle missioni Apollo. L'esposizione alle fasce fu calcolata e misurata tramite lanci di prova: specificamente, la missione Apollo 6 (aprile 1968) portò in orbita terrestre una capsula Apollo priva di equipaggio e piena di strumenti proprio per misurare la capacità della capsula di bloccare le radiazioni delle fasce di Van Allen, come descritto nell'Apollo Definitive Sourcebook.

L'esposizione risultò comparabile a quella di qualche radiografia medica, quindi più che sopportabile. Le fasce di van Allen, infatti, non sono affatto una zona letale per qualunque essere umano. Questo è un fatto assodato e documentato da un gran numero di pubblicazioni tecniche e scientifiche, di cui qui sotto trovate gli estremi, ed è spiegato molto chiaramente in italiano da Luca Boschini, che si qualifica come laureato in ingegneria elettronica al Politecnico di Milano e progettista elettronico per una ditta del milanese che produce sistemi per satelliti e sonde spaziali. Una persona che quindi con le radiazioni dello spazio deve fare i conti molto concretamente. Nel suo articolo su Vialattea.net, Boschini spiega che

durante il viaggio verso la Luna gli astronauti hanno subito, al peggio, dosi paragonabili a quelle che riceve in qualche anno un lavoratore che ha a che fare con materiale radioattivo, per cui il rischio che hanno corso a causa di ciò si può ritenere, in base ai dati epidemiologici, trascurabile.


C'è di più. Presso MAD Scientist, per esempio, c'è un articolo di Bill Wheaton (1918-2002), per 15 anni specialista in astronomia a raggi gamma presso il Jet Propulsion Laboratory (JPL) ed astronomo presso lo Spitzer Space Telescope Science Center alla Caltech di Pasadena, in California. L'articolo fornisce dati concreti sulle radiazioni nello spazio e specificamente nella zona più pericolosa, appunto le contestate fasce di Van Allen, che furono attraversate molto rapidamente dagli astronauti Apollo. Una versione ampliata del medesimo articolo è disponibile presso Wwheaton.com. Da questa fonte emerge che i dati scientifici sulle radiazioni spaziali devono essere veritieri, altrimenti anche i satelliti automatici odierni non funzionerebbero e verrebbero fritti.

L'articolo di Wheaton contiene inoltre il seguente elenco di fonti tecnico-scientifiche:


Per quanto riguarda le radiazioni sulla Luna, l'astronomo Phil Plait documenta in "Bad Astronomy: Misconceptions and Misuses Revealed, from Astrology to the Moon Landing 'Hoax'" (John Wiley & Sons, ISBN 0-471-40976-6) che i dosimetri portati dagli equipaggi Apollo rilevarono un dosaggio cumulativo circa pari a una radiografia toracica, ossia 1 milligray. La dose media è risultata inferiore a 1 rem, pari alla radiazione prodotta dall'ambiente che si riceve, al livello del mare, in tre anni.

In altre parole, una missione lunare di pochi giorni come quelle Apollo comporta radiazioni complessivamente equivalenti a una radiografia o a tre anni di vita sulla Terra.

La NASA dichiara, nel Mission Report dell'Apollo 11, che la dose totale di radiazioni misurata dai dosimetri e ricevuta dagli astronauti fu compresa fra 0,25 e 0,28 rad (si noti l'unità di misura, diversa dal rem), quindi al di sotto dei valori significativi dal punto di vista medico:

The total integrated, but uncorrected, doses were 0.25, 0.26, and 0.28 rad for the Commander, Command Module Pilot, and Lunar Module Pilot, respectively. The Van Allen Belt dosimeter indicated total integrated doses of 0.11 rad for the skin and of 0.08 rad for the depth reading during the entire mission. Thus, the total dose for each crewman is estimated to have been less than 0.2 rad, which is well below the medically significant level.

(pagina 12-3, paragrafo 12.2.4 del Mission Report)


Un ulteriore approfondimento è disponibile in "Biomedical Results of Apollo" e in "Apollo Experience Report - Protection Against Radiation".

Inoltre l'articolo "Missione impossibile?" della rivista Le scienze del luglio 2006, scritto da Eugene N. Parker, definito come maggior esperto mondiale di gas interplanetari e di campi magnetici, riporta una tabella dei valori, in rem all’anno, assorbiti da un essere umano che risiedesse alla quota corrispondente:

Livello del mare: 0,02 - 0,04
1500 metri: 0,04 - 0,06
3000 metri: 0,08 – 0,12
12000 metri (jet): 2,8
Orbita terrestre bassa: 10
Fasce di Van Allen: 1500
Superficie lunare: 7 – 12
Spazio interplanetario: 13 – 25
Spazio interstellare: 30 – 70

Nessun lunacomplottista è stato finora in grado di smentire documentatamente tutti questi dati o almeno di citare un documento scientifico a supporto delle proprie asserzioni di letalità.

Questi stessi dati dimostrano inoltre che queste dosi di radiazioni non sono sufficienti a velare le pellicole, come teorizzano alcuni sostenitori dei lunacomplotti. Le pellicole, infatti, ricevettero dosi ancora minori di radiazioni rispetto agli astronauti, essendo protette in appositi involucri proprio in previsione di questo problema.

In altre parole: alla NASA non erano scemi. Ci pensarono prima, e presero le misure del caso chiedendo ai migliori esperti di settore. Proprio quello che i sostenitori del complotto lunare sembrano incapaci di fare.


2017/04/09


Amy Shira Teitel, storica delle missioni spaziali, racconta in dettaglio la questione delle fasce di Van Allen in questo video ricco di riferimenti tecnici. Il video mostra i dosimetri utilizzati dagli astronauti di Apollo 11 e fra l'altro risponde specificamente (da 9:35 in poi) a chi cita il video di un ingegnere, Kelly Smith, che parla della ricerca per produrre una protezione antiradiazioni per il futuro veicolo Orion.

La Teitel nota una cosa molto importante: Smith non dice che questa protezione non è mai stata realizzata prima. Dice che è un problema da risolvere specificamente per il nuovo veicolo Orion e non per i suoi equipaggi, ma per i suoi componenti elettronici, perché i microcomponenti di oggi sono molto più sensibili alle radiazioni di quelli massicci degli anni Sessanta.

2009/02/02

Perché non si parla mai delle missioni Apollo dalla 2 alla 6?

di Paolo Attivissimo. L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

Tutti ricordano l'Apollo 11, la missione che portò allo sbarco umano sulla Luna; alcuni ricordano che le missioni lunari proseguirono fino all'Apollo 17, con la pausa dovuta all'incidente dell'Apollo 13 (conclusosi felicemente con il rientro anticipato degli astronauti indenni). Pochi ricordano l'Apollo 8, la prima missione a circumnavigare la Luna. Ma praticamente nessuno ricorda le missioni precedenti. In particolare, la numerazione delle missioni sembra fare un salto fra l'Apollo 1 e l'Apollo 7. Cosa ci fu in mezzo, e perché non se ne parla?

Sfogliando documenti come l'Apollo Definitive Sourcebook, di Richard Orloff e David Harland, si può ricostruire la complessa serie di eventi che portò a questa numerazione anomala.


AS-201 – Saturn IB – 26/2/1966


Per completezza, questa cronologia include anche il volo AS-201, primo lancio del Saturn 1B e del modulo di comando Apollo, avvenuto il 26 febbraio 1966 senza equipaggio a bordo. Il Saturn 1B era una versione evoluta del Saturn 1, che aveva già al proprio attivo 10 lanci avvenuti fra il 27 ottobre 1961 e il 30 luglio 1965. Il volo fu un semplice arco balistico, senza raggiungere l'orbita terrestre, per collaudare il nuovo vettore e lo scudo termico del modulo di comando.


AS-203 ("Apollo 2") – Saturn IB 5/7/1966


Il nome formale di questo lancio è AS-203; “Apollo 2” è soltanto un nome informale usato talvolta da alcuni documenti non-NASA, ma in realtà nessun volo effettuato fu mai designato formalmente “Apollo 2”. Avvenuto il 5 luglio 1966, vide un lancio senza equipaggio del vettore Saturn 1B con lo stadio S-IVB destinato ad essere usato come terzo stadio per il Saturn V nelle missioni lunari. Lo scopo del lancio fu collaudare i sistemi automatici di controllo del volo (la Instrument Unit) e dimostrare la capacità dello stadio S-IVB di accendere e spegnere il proprio motore a razzo più volte anche in condizioni di assenza di peso. Non fu trasportata una capsula Apollo. Fu il primo volo orbitale dello stadio S-IVB.


AS-202 ("Apollo 3") – Saturn IB – 25/8/1966


La designazione formale di questo lancio è AS-202; il nome "Apollo 3" non è ufficiale e nessun volo effettuato fu mai designato formalmente in questo modo. Il lancio AS-202, avvenuto il 25 agosto 1966 senza equipaggio, collaudò in particolare lo scudo termico del modulo di comando e il vettore Saturn IB per qualificarlo al trasporto di un equipaggio.

Questo lancio avvenne dopo il lancio AS-203, nonostante la numerazione suggerisca il contrario, a causa di ritardi nella preparazione dei veicoli.


Apollo 1 (AS-204) – Saturn IB – 27/1/1967


Questa missione, denominata inizialmente AS-204 e poi ufficialmente battezzata Apollo 1 nel 1966, era prevista per il 21 febbraio 1967. Avrebbe dovuto essere una missione in orbita terrestre, la prima del veicolo Apollo con un equipaggio, ma il lancio non fu mai effettuato.

Durante un'esercitazione di routine sulla rampa di lancio, poco meno di un mese prima della data prevista per il volo, si sviluppò un violentissimo incendio nel modulo di comando, dotato di un'atmosfera di ossigeno puro (come nelle precedenti capsule Mercury e Gemini) e collocato in cima a un vettore Saturn IB privo di carburante. Fumo e fiamme, alimentati dall'ossigeno puro e dai materiali combustibili nella capsula, si propagarono così rapidamente che non vi fu modo di aprire i complicati portelli d'uscita dal veicolo.

L'equipaggio (Virgil Grissom, comandante; Edward White, pilota senior; Roger Chaffee, pilota) perì in poche decine di secondi. I tre furono i primi astronauti statunitensi a perire nel corso della propria attività. La tragedia fermò il progetto Apollo e impose una drastica riprogettazione di tutti i sistemi di bordo.

Grissom, White e Chaffee, l'equipaggio dell'Apollo 1.

Dopo il disastro, su richiesta delle vedove dei tre astronauti l'esercitazione fu designata ufficialmente "Apollo 1" in memoria delle sue vittime. Il NASA Project Designation Committee approvò "Apollo 4" come nome formale del lancio successivo, ma dichiarò che i lanci precedenti (AS-201, AS-202 e AS-203) non sarebbero stati ribattezzati ufficialmente.

Apollo 4 (AS-501) – Saturn V – 9/11/1967


Primo lancio del Saturn V, 9 novembre 1967, senza equipaggio, con collaudo simultaneo dei tre stadi del vettore (S-IC, S-II e S-IVB). A bordo fu trasportato un simulacro del modulo lunare. Furono collaudati anche lo scudo termico di rientro del modulo di comando e il suo isolamento contro le radiazioni.


Apollo 5 (AS-204R) – Saturn IB – 22/1/1968


Lo scopo primario di questo lancio senza equipaggio, effettuato il 22 gennaio 1968, fu il collaudo nello spazio del modulo lunare (LM), che fu lanciato senza le zampe d'allunaggio (non erano ancora pronte), e dei sistemi automatici di gestione del volo (Instrument Unit) nella configurazione che sarebbe stata usata dal Saturn V. Fu riutilizzato il vettore Saturn IB, rimasto intatto dopo l'incendio dell'Apollo 1.

Il collaudo in orbita del LM incluse la separazione dallo stadio vettore S-IVB, la manovra con i razzi di controllo d'assetto, l'accensione del motore di discesa e l'accensione del motore di risalita mentre lo stadio di discesa del LM era ancora agganciato, allo scopo di simulare gli effetti di un'interruzione della discesa verso la Luna e di una risalita d'emergenza. Nonostante vari problemi, il collaudo fu ritenuto sufficientemente buono da confermare che il LM era pronto per volare con un equipaggio, e il secondo volo di collaudo, pianificato inizialmente, fu annullato.


Apollo 6 (AS-502) – Saturn V – 4/4/1968


Lancio senza equipaggio, destinato a collaudare il Saturn V. Si manifestò un effetto "pogo", una risonanza a bassa frequenza (da 5,2 a 5,5 Hz) della struttura, innescata dal fluire del propellente nelle condotte, che sarebbe stata intollerabile per un equipaggio e causò il distacco di vari frammenti del vettore e produsse vari malfunzionamenti ai motori. Gli strumenti verificarono la capacità della capsula del modulo di comando di bloccare le radiazioni delle fasce di Van Allen.

La celebre ripresa dell'anello interstadio fiammeggiante che cade al rallentatore verso la Terra (immagine qui accanto) è spesso attribuita dai non addetti ai lavori all'Apollo 11, ma in realtà proviene da questo lancio.

Questo volo di collaudo ebbe pochissima risonanza nei media perché si svolse lo stesso giorno dell'assassinio di Martin Luther King a Memphis. Non sarà l'ultima volta che gli eventi storici prenderanno il sopravvento sull'avventura dell'esplorazione spaziale.


Apollo 7 (AS-205) – Saturn IB – 11/10/1968


Uno dei motivi per i quali si parla poco delle prime missioni Apollo è che la numero 7 fu la prima che portò nello spazio un equipaggio (l'Apollo 1 ebbe un equipaggio, che però non arrivò mai nello spazio; perì tragicamente durante una sessione di collaudi a terra). Tutti i voli precedenti, tranne l'Apollo 1, riguardarono veicoli di prova senza equipaggio a bordo, concepiti per collaudare tutti i sistemi del complesso vettore lunare.

L'Apollo 7 partì l'11 ottobre 1968 con a bordo il comandante Wally Schirra, il pilota di modulo di comando Donn Eisele e il pilota di modulo lunare Walter Cunningham. Il vettore fu un Saturn IB, più piccolo rispetto al Saturn V destinato alle missioni lunari, che non aveva un modulo lunare a bordo. Fu la prima missione Apollo con atmosfera mista di 65% ossigeno e 35% azoto (le missioni precedenti avevano usato ossigeno puro: una delle cause del disastro dell'Apollo 1). La missione collaudò molte delle procedure di puntamento, navigazione e comunicazione che sarebbero servite per i voli successivi e simulò la manovra di abbandono e rendezvous con lo stadio S-IVB (dal quale le missioni successive avrebbero dovuto agganciare ed estrarre il modulo lunare). Fu la prima missione statunitense a trasmettere immagini televisive in diretta. Il rientro avvenne il 22 ottobre 1968.