Secondo i curatori del museo nazionale olandese Rijksmuseum, ad Amsterdam, un reperto che per anni è stato presentato nel museo come campione di roccia lunare portato dagli astronauti della missione Apollo 11 è un falso: si tratta infatti di semplice legno pietrificato. La notizia è stata diffusa il 27 agosto 2009.
A prima vista, questa può sembrare una vittoria per i sostenitori della falsificazione degli sbarchi lunari. In realtà dimostra che i falsi prima o poi vengono smascherati e vengono annunciati pubblicamente e senza reticenze. A patto di fare una cosa importante: portare prove inoppugnabili della falsificazione. Ed è questo che i lunacomplottisti finora non sono riusciti a fare a supporto delle loro tesi.
Detto questo, il mistero di come una falsa roccia lunare sia finita in un museo è intrigante e vale la pena di approfondirlo.
Si può notare subito un dettaglio importante: in realtà la targa che accompagna la "roccia", mostrata nell'immagine qui sopra, non parla affatto di roccia lunare: anzi, non descrive affatto l'oggetto al quale si riferisce. Dice semplicemente "con i complimenti dell'ambasciatore degli Stati Uniti d'America J. William Middendorf, II per commemorare la visita ai Paesi Bassi degli astronauti dell'Apollo 11 Neil A. Armstrong, Michael Collins, Edwin E. Aldrin, Jr. – Centro Congressi e Fiera Internazionale R.A.I., Amsterdam, 9 ottobre 1969".
Secondo le notizie finora pubblicate, il reperto sarebbe stato donato il 9 ottobre 1969 dall'ambasciatore statunitense Middendorf a un ex primo ministro olandese, Willem Drees, durante il tour mondiale degli astronauti dell'Apollo 11 poco dopo la loro missione storica del 1969, in occasione di una mostra dedicata all'esplorazione spaziale. In effetti la data del 9 ottobre 1969 coincide con la presenza degli astronauti dell'Apollo 11 ad Amsterdam, secondo Wingnet.org.
Alla morte di Drees, nel 1988, la "roccia lunare" sarebbe stata messa in esposizione nel museo. Secondo alcune fonti, fu assicurata per circa 500.000 dollari per un certo periodo; altre fonti riportano un ammontare inferiore (50.000 euro).
Ma le indagini, supervisionate da Xandra Van Gelder, chief editor della rivista Oog del museo, hanno accertato che si tratta di un falso. La Van Gelder ha dichiarato che l'oggetto era stato verificato in origine tramite una telefonata alla NASA: però l'ente spaziale non aveva autenticato specificamente quel reperto, ma aveva semplicemente dichiarato che era possibile che i Paesi Bassi avessero ricevuto una roccia lunare, dato che la NASA ne aveva donate a oltre 100 paesi nei primi anni Settanta, ma si trattava di materiale provenienti da missioni successive.
I dubbi sull'autenticità dell'oggetto risalgono al 2006, quando fu esibito nel museo per l'esposizione Fly me to the moon: di solito non era visibile al pubblico. Arno Wielders, un fisico e imprenditore aerospaziale, lo vide e informò il museo che era altamente improbabile che la NASA avesse donato una preziosissima roccia lunare tre mesi dopo il ritorno della prima missione e prima che avesse luogo il secondo sbarco. Una telefonata all'ente statunitense che si occupa della gestione di tutti i reperti lunari confermò il dubbio: il curatore dell'ente si dichiarò certo che non potesse trattarsi di roccia proveniente dalla Luna.
Soprattutto era improbabile che la NASA avesse donato all'Olanda una roccia così grande: le donazioni ad altri paesi si misurano in grammi, mentre secondo alcune fonti la "roccia lunare" ha le dimensioni di un pugno (secondo altre quelle di una scatola di fiammiferi, come mostrato nell'immagine qui accanto, tratta da NOS Niews).
Erano sospette anche le sue tinte rossicce, ben differenti da quelle delle comuni rocce lunari. Il petrologo Wim van Westrenen, della Libera Università di Amsterdam, si accorse subito c'era qualcosa di sospetto, e in seguito furono effettuati dei test. Il mese scorso, un esame microscopico e spettroscopico di un frammento rimosso dal reperto ha permesso di trovare quarzo e strutture cellulari tipiche del legno. Il geologo Frank Beunk ha concluso che si tratta di una pietra di scarso valore: non più di 50 euro.
Van Gelder ha anche segnalato che non è chiaro perché l'ex primo ministro Drees abbia ricevuto la "roccia lunare", considerato che nel 1969 aveva 83 anni e non era più in carica da undici anni, ma ha sottolineato che era comunque uno statista molto stimato che aveva aiutato a ricostruire i Paesi Bassi dopo la seconda guerra mondiale.
I funzionari statunitensi per ora non hanno fornito spiegazioni per questo curioso falso; l'ambasciata statunitense all'Aia ha detto che sta investigando sulla questione.
L'ambasciatore Middendorf ha spiegato all'emittente olandese NOS News che lui aveva ricevuto il reperto dal Dipartimento di Stato USA ma non ricordava i dettagli precisi.
Gli unici reperti lunari formalmente identificati su suolo olandese sono al museo Boerhaave a Leiden: un frammento proveniente dalle rocce raccolte dall'Apollo 17 e della ghiaia fine portata sulla Terra dall'Apollo 11. I circa 382 chilogrammi di rocce lunari delle missioni Apollo sono conservati in atmosfera controllata di azoto al Lunar Sample Laboratory Facility del Johnson Space Center. Ogni anno, vari enti e laboratori di ricerca di tutto il mondo ricevono in prestito circa 400 campioni di peso medio intorno al grammo.
Le ipotesi su cosa sia successo esattamente al reperto olandese fasullo sono varie. Una è che si tratti di un malinteso: trattandosi di un dono proveniente dagli astronauti, fu dato per scontato che si trattasse di una roccia lunare, nonostante questo non sia indicato sulla targa che l'accompagna. Un'altra è che si sia verificato uno scambio e che l'oggetto attuale non sia quello al quale si riferiva in origine la targa.
Personalmente vorrei formulare anche una terza ipotesi: che si tratti di una burla olandese ben fatta. Il dubbio nasce dalla stranezza del fatto che un reperto così significativo non fosse mai stato esposto prima (ma l'aggiornamento qui sotto forse indica un'esposizione precedente) e che fosse venuto alla ribalta soltanto durante una "esposizione artistica" organizzata dal duo di artisti di Rotterdam Liesbeth Bik e Jos van der Pol, specializzato in happening, anziché durante una mostra scientifica. L'evento artistico prevedeva che il duo ponesse ai visitatori "varie domande su quest'oggetto, mai rivelato prima al pubblico, e sui piani del Rijksmuseum di aprire un museo sulla Luna": un quesito decisamente semiserio.
E poi ci sono due indizi molto curiosi: perché mai una targhetta preparata per conto di un ambasciatore statunitense dovrebbe contenere un errore come "Apollo-11", con il trattino, ben poco inglese ma molto olandese, e la parola "Centre" scritta secondo la grafia britannica anziché quella americana ("Center")?
2009/10/01
La rivista d'arte olandese Oog Magazine ha pubblicato un articolo, intitolato "Gevallen Steen", che si occupa del caso (immagine qui accanto; PDF scaricabile). Ho contattato la redazione per avere maggiori informazioni.
Da una prima traduzione automatica dell'articolo sembra che la "roccia lunare" sia comparsa nel museo per la prima volta il giorno stesso della visita degli astronauti, nel 1969, nell'ambito di una mostra dedicata all'ex ministro Drees, e che poi sia stata riscoperta dai curatori in occasione della morte di Drees, ma la cosa pare piuttosto implausibile.
Qui sotto, intanto, pubblico il testo originale, nella speranza che qualche lettore pratico d'olandese lo possa tradurre in italiano con maggiore affidabilità.
De maansteen van Willem Drees werd jaren gekoesterd als een van de meest exotische objecten in de collectie van het Rijksmuseum. Tweemaal werd hij tentoongesteld. De laatste expositie kreeg een staartje.
GEVALLEN STEEN
Uitgerekend Willem Drees, de minst frivole minister-president van Nederland, kreeg in 1969 een maansteen van de Amerikaanse ambassadeur J. William Middendorf II. De eerste bemande maanvlucht dat jaar was een ongekende hype. De drie betreffende astronauten – Neil Armstrong, Michael Collins en Edwin Aldrin – deden als helden in korte tijd 25 landen aan, waaronder Nederland. Ze bleven hier slechts een halve dag. Koningin Juliana en de toenmalige premier Piet de Jong ontvingen hen op 9 oktober 1969. Juliana kreeg, net als andere staatshoofden, een kopie van de plaquette die de astronauten op de maan achterlieten. De regering verblijdde de astronauten met een zilveren fazant. Op dezelfde dag werd in de RAI in Amsterdam een tentoonstelling over ruimtevaart geopend. Daar kreeg voormalig premier Drees zijn maansteen. Na het overlijden van Drees liet zijn familie conservatoren van het Rijksmuseum kijken of ze iets van hun gading konden vinden in de nalatenschap van de grootste naoorlogse premier. De maansteen viel direct op. Hij ging mee naar de depots van het museum en werd voor 100.000 gulden verzekerd. Begin 2000 werden bureau, pennenkoker, schrijfmap en maansteen van Drees tentoongesteld in de zaal naast de Nachtwacht.
Niet van deze wereld
De tweede keer dat de steen de depots verliet, was in 2006 voor een modern kunstproject, Fly me to the Moon. Het kunstenaarsduo Bik Van der Pol maakte een grote show rond het oudste stuk van het museum. In een van de torens van het hoofdgebouw vond de bezoeker, na een tocht over een smalle wenteltrap, de steen verstild in een vitrine. In het begeleidende boek schreef Bik Van der Pol: ‘In de collectie van het Rijksmuseum is de steen letterlijk een alien, vreemd en afwijkend: te midden van alle andere objecten van het museum, het enige object dat niet van deze wereld is.’
De tentoonstelling trok ook de belangstelling van ruimtevaartdeskundigen. Arno Wielders, ruimte- vaartconsultant van Space Horizon, twijfelde direct aan de echtheid van de steen. “In 1969 waren de astronauten maar kort op de maan. Ze moesten van alles doen en namen slechts een zakje vol stenen mee. NASA heeft die allemaal gehouden voor eigen onderzoek. NASA houdt heel precies bij waar welke steen is en deze steen komt in hun boeken niet voor.” Diverse deskundigen bogen zich erover en uiteindelijk kwamen zij tot de conclusie: dit is geen buitenaardse steen. Waarom ambassadeur Middendorf juist aan Drees, die toen al elf jaar geen premier meer was, een steen gaf, is niet opgehelderd.
Speciaal voor Oog werden op de Vrije Universiteit in Amsterdam een aantal onderzoeken op de steen losgelaten. Met een fijn beiteltje werd, op een bestaande breuklijn, een klein scherfje los gewrikt dat verschillende analyses onderging. Frank Beunk en Wim van Westrenen, beiden steendeskundigen – petrologen is de officiële term – begeleidden het onderzoek. De steen die ooit van de maan kwam, blijkt niet meer dan een stuk versteend hout. “Het is een non-descripte, vrijwel waardeloze steen”, oordeelt Beunk. Van versteend hout bestaan mooiere voorbeelden. Een echte liefhebber koopt die voor maximaal 50 euro.
Il problema di tutta questa faccenda è che le informazioni sulla storia della "roccia" sono quasi tutte di seconda mano: non sono emersi finora i documenti d'epoca che ne traccino le vicende. In attesa di chiarimenti risolutivi, la "roccia lunare" rimane un chiaro esempio di come i falsi vengano portati, prima o poi, alla luce: cosa che non è avvenuta in quarant'anni per il presunto falso dello sbarco sulla Luna.
2010/10/14
Un'intervista a Buzz Aldrin realizzata dal lunacomplottista Jarrah White mette in luce un altro dettaglio importante che rende implausibile che la roccia olandese sia stata consegnata dagli astronauti: Aldrin precisa che i campioni di roccia lunare consegnati dall'equipaggio dell'Apollo 11 alle autorità nei vari paesi del mondo durante il loro tour diplomatico erano incapsulati in una plastica trasparente protettiva, mentre la "roccia lunare" olandese è priva di ogni protezione.
Un articolo su Abitare.it (n. 506 dell'11/10/2010) parla delle opere del duo di artisti olandesi Liesbeth Bik e Jos Van der Pol e contiene questa citazione interessante sul loro metodo di lavoro e sull'opera di cui questa presunta roccia lunare faceva parte:
La domanda è sempre all’origine dei loro progetti: ma è proprio vero che la roccia conservata al Rijksmuseum di Amsterdam arriva dalla luna? E se lo è, vale la pena interrogarsi sul diritto del museo di possedere un pezzo del satellite? Come mettere in discussione lo spazio in qualità di piattaforma delle dinamiche d’interazione tra pubblico e privato? A questi interrogativi sono seguiti due importanti lavori. Nel primo caso (“Fly me to the Moon”, 2006), gli artisti erano stati invitati dal museo olandese a immaginare un nuovo lavoro, destinato a essere esposto durante il periodo di restauro del cantiere museale, quando le collezioni sarebbero state spostate in un deposito esterno. Il duo ha iniziato a studiare le collezioni del museo, scoprendo che l’oggetto più antico era conservato nel Dipartimento di storia olandese, ed era un bizzarro pezzo di crosta lunare (catalogato “Object NG-1991-4-25”). Il frammento del satellite era stato donato al museo da Willem Dress Jr., figlio dell’allora prima ministro olandese, che lo aveva ricevuto a sua volta dalle mani dei tre mitici astronauti dell’Apollo 11 – Neil Armstrong, Edwin Aldrin e Michael Collins – in visita in Olanda. La roccia è una parte dei 21,7 kg di detriti lunari rimossi dalla missione americana e poi distribuiti come souvenir dallo spazio a varie rappresentazioni nazionali. Attraverso la ricostruzione di questa storia e una ricerca iconografica tra i dipinti del museo legati al tema della luna (come per esempio le due opere di Jan Vermeer del 1667, dove il pittore ritrae un uomo intento a studiare i corpi celesti), gli artisti realizzano un libro, che racconta il backstage dell’installazione e ragiona sulla relazione tra documentario e fiction nei processi di costruzione della scoperta della luna. Cruciale è nella loro ricerca la contaminazione tra testo e immagine. Ogni opera è un testo e ogni testo è un’opera.
The query process is always at the heart of their projects: is it really true that the piece of rock in the Rijksmuseum, Amsterdam, comes from the moon? If it does, is it worth questioning the museum’s right to own a piece of the moon? How can we best examine the idea of space as a platform for public-private interaction? These questions have given rise to a number of important projects. In “Fly me to the Moon” (2006) the Dutch museum invited them to design something new to exhibit during restoration work on the museum when its collections were stored in an off-site warehouse. Looking carefully at the collections, they discovered that the oldest exhibit, found in the Dutch History department, was a weird lump of lunar crust (catalogued as “Object NG-1991-4-25”). It had been donated to the museum by Willem Drees Jr., son of then Dutch Prime Minister, who had in turn received it from legendary Apollo 11 astronauts Neil Armstrong, Edwin “Buzz” Aldrin and Michael Collins during a visit to the Netherlands. It was part of a 21,7 kg load of lunar debris collected by the Apollo 11 crew that was later handed out as gifts and souvenirs to foreign governments. Through the reconstruction of this story and a search for lunar themes in the museum’s pictures – as in, for example, two paintings (1667) by Jan Vermeer showing “The Astronomer” and “The Geographer” deep in thought as they study the celestial globe – a background book was produced which examines relationships between documentary and fiction in reconstructions of how the moon was discovered. Contamination of text and image is also crucial to their research. As they say on their website’s homepage, which is designed as a pop-up book, every artwork is a text and every text is an artwork.
Fonti: BBC; Yahoo News; Natutech.nl; Corriere.it; U.S. Department of State Official Blog; Epoch Times; Facoltà di scienze della terra dell'Università di Amsterdam; NOS Nieuws.